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50 anni fa l’Albania veniva dichiarata il primo Paese ateo nel mondo

Visar Zhiti, diplomatico e poeta albanese |  | WR Visar Zhiti, diplomatico e poeta albanese | | WR

Nel 1946, subito dopo la guerra, i comunisti salirono al potere in Albania. Cominciò la vera dittatura comunista il cui simbolo è un tiranno di nome Enver Hoxha (1908-1985), dittatura spietata, che ha gettato il Paese nel terrore e nella miseria più profonda.

Uno dei tratti distintivi della dittatura albanese fu la massiccia ateizzazione, tanto che nel 1967,  esattamente cinquant’anni  anni fa, Hoxha dichiarò trionfalmente che l’Albania era il primo Paese al mondo dove l’ateismo di Stato era iscritto nella Costituzione; infatti l’articolo 37 recitava: «Lo Stato non riconosce alcuna religione e supporta la propaganda atea per inculcare alle persone la visione scientifico-materialistica del mondo»; e ancor peggio  l’articolo 55 del Codice penale del 1977  che stabilirà la reclusione da tre a dieci anni per propaganda religiosa e produzione, distribuzione o immagazzinamento di scritti religiosi.

Per ricordare questo triste anniversario della storia dell’Albania ho intervistato Visar Zhiti, fino a qualche settimana fa capo missione dell’Ambasciata dell’Albania presso la Santa Sede e l’Ordine di Malta. Zhiti, figlio dell’attore teatrale e poeta Hekuran Zhiti, è un diplomatico ed anche un famoso poeta e scrittore ma, prima di tutto, è una delle tantissime vittime del regime comunista. Nel 1973 proprio quando si apprestava a pubblicare la raccolta di versi Rapsodia e jetës së trëndafilave (Rapsodia della vita delle rose), fu denunciato perché le sue poesie vennero viste come sbagliate ideologicamente. E per i versi considerati “controrivoluzionari” questo giovane poeta fu condannato a dieci anni di lavori forzati nella miniera.

Per raccontare gli orrori del regime comunista albanese e le drammatiche storie delle sue vittime ho incontrato Visar Zhiti prima della sua partenza da Roma.

 

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Lei è stato condannato a dieci anni per le sue poesie. La dittatura comunista aveva paura anche delle poesie?

 La dittatura aveva paura delle poesie, che non elogiavano il potere. Mi hanno condannato perché se non scrivevi a favore della dittatura eri contro. La mia colpa era quella di cercare libertà e bellezza come tante persone della mia generazione. Avevo soltanto 26 anni quando mi hanno arrestato. Dopo c’era il processo e la cosa più tremenda: la gente che applaudiva quando è stata emessa la sentenza.  

Dieci anni di lavori forzati non era uno scherzo…

Dopo la condanna, sono stato trasferito nelle montagne del nord del paese a lavorare nelle miniere di rame di Spaç e nella prigione sul ghiacciaio di Qafë-Bari. Due inferni, dove noi, detenuti, ci salutavano quotidianamente con la sola speranza di sopravvivere. Molti dei miei compagni prigionieri morirono di maltrattamenti e malnutrizione, altri persero la ragione. Io sono riuscito a sopravvivere e nel 1987 mi hanno mandato a lavorare in una fabbrica di mattoni come operaio: era un lavoro molto pesante ma stavo nella mia città, Lushnja, dove abitavano i miei genitori. 

Nel 1967 il dittatore Hoxha dichiarò che l’Albania era il primo Paese ateo al mondo. Ma per arrivare a questo punto il regime doveva prima sopprimere gli uomini di fede e distruggere ogni traccia del culto religioso…

In Albania tutte le chiese e le moschee vennero abbattute. Alcune vennero trasformate in magazzini militari, palestre e cinema. Ma allora i nostri cinema venivano adoperati per i processi politici, per condannare religiosi e oppositori dell’ideologia comunista. Ho visto bruciare le Bibbie, i Corani, e cumuli di icone. Ho nascosto alcune icone di una chiesa distrutta. Venni convocato dalla direzione della scuola e mi imposero di consegnarle. E ricordo che nel cortile della scuola, un’addetta alle pulizie distruggeva quelle icone con un’ascia, ne faceva un fascio di legna per la stufa degli insegnanti. L’Albania era ricca di icone medievali. Il rosso di Onufri è celebre nel mondo. Oggi nel Museo delle icone a Korça, c’è anche un’immagine di Cristo piena di buchi e non perché rovinata dal tempo, ma perché perforata dai proiettili. Il regime l’ha usata come tirassegno per le esercitazioni militari.

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Ma il regime, prima di tutto, opprimeva, torturava e uccideva tutti i chierici. In prigione, dove lavoravamo come schiavi nelle miniere, ho potuto incontrare i sacerdoti, Zef Simoni e Kolec. Per quanto era possibile parlavamo dei santi. Di nascosto si celebravano le festività religiose e qualche battesimo. Se si fosse venuto a sapere, correvano il rischio della fucilazione. C’era anche un sacerdote silenzioso, che puliva i tavoli della mensa dei carcerati e quando poteva, passava qualche pezzo di pane ai giovani che avevano fame. Aveva già subito tanti anni di galera e gli sarebbero state inflitte altre pene: era don Ernest Simoni Troshani che in totale ha trascorso ai lavori forzati 27 anni.

Mi ricordo che il 21 settembre 2014, durante il suo pellegrinaggio in Albania, Francesco aveva ascoltato la toccante testimonianza di don Simoni e ne era stato profondamente colpito, fino alle lacrime. L’aveva abbracciato e gli aveva baciato le mani.

È vero. E nello scorso novembre il Papa l’ha fatto cardinale. Ma prima anche Giovanni Paolo II ha creato cardinale un altro sacerdote perseguitato dal regime comunista: don Mikel Koliqi. Questo sacerdote, tra l’altro illustre musicista, nel 1945 fu condannato a 21 anni di lavori forzati, con l'accusa di ascoltare le radio straniere. Ma è stato liberato soltanto dopo la morte del dittatore Hoxha nel 1986, per motivi di età. Don Simoni e don Mikel sono sopravvissuti ma durante la dittatura comunista la maggioranza dei sacerdoti e degli intellettuali furono giustiziati. Dagli studi emergono i dati della persecuzione: vennero fucilati 5.577 uomini e 450 donne, quasi 1000 uomini e 45 donne morirono nelle carceri politiche, più di 300 persone persero ragione a causa delle torture, 50 mila famiglie vennero internate e più di 7 mila persone morirono durante l’internamento.

Alcuni di questi martiri del comunismo sono stati beatificati dalla Chiesa…

Si, 38 martiri uccisi dal regime comunista in Albania tra il 1945 e il 1974, tra loro due vescovi, 21 sacerdoti diocesani, 7 francescani e 3 gesuiti, un seminarista e 4 laici, sono stati beatificati il 5 novembre 2016 a Scutari. Una feroce dittatura comunista per 50 anni cercò con ogni mezzo di cancellare dall’Albania ogni sentimento di fede, ma la luce di fede non si spense mai nell’animo degli albanesi. Al contrario: dal sangue dei nostri martiri è risorta la Chiesa cattolica in Albania. Ma vorrei ricordare che un’altra figlia della nostra terra, Madre Teresa, è santa e sicuramente intercede per noi dal Cielo.

La storia dell’Albania e del suo disumano regime comunista mostra quello che ci insegna la Chiesa: che il male non avrà mai l’ultima parola.

 

L’intervista è stata pubblicata in polacco nel settimanale “Niedziela”