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Auschwitz, la storia dietro il "De Profundis" del parroco di Markowa

Papa Francesco ad Auschwitz | Papa Francesco durante la sua visita ad Auschwitz, 29 luglio 2016  | L'Osservatore Romano / ACI Group Papa Francesco ad Auschwitz | Papa Francesco durante la sua visita ad Auschwitz, 29 luglio 2016 | L'Osservatore Romano / ACI Group

Quando Papa Francesco ad Auschwitz ha ascoltato il “De Profundis” letto in polacco (dopo che era stato cantato in ebraico dal rabbino capo di Cracovia), le storie dei giusti e dei sopravvissuti che avrebbe incontrato gli sono sicuramente passate davanti agli occhi. Ma più di tutte, gli sarà passata davanti agli occhi la storia della famiglia Ulma, che proveniva proprio da Markowa. Madre, padre e sei figli uccisi dai nazisti perché nascondevano due famiglie ebree.

C’era tutto questo dietro la lettura di Stanislaw Ruszala, il parroco di Markowa che poi ha anche incontrato il Papa come rappresentante della famiglia Ulma, considerata “Giusta tra le Nazioni”. E c’è anche un processo di beatificazione fatto partire a livello diocesano, e arrivato a Roma, dove giace in attesa di una decisione e una spinta in avanti da un po’.

Ma chi erano Jozef e Viktoria Ulma? Erano una famiglia di Markowa, che non hanno avuto dubbi nel nascondere le due famiglie ebree Goldman e Szall, che avevano chiesto loro protezione. Lo fecero incuranti del fatto che un decreto di Hans Frank, governatore tedesco dei territori polacchi occupati, prevedeva che i polacchi trovati ad aiutare gli ebrei fossero giustiziati.

Fatto sta che il 24 marzo 1944, Eilzet Dieken, tenente delle SS, si presentò a casa degli Ulma: aveva ricevuto una soffiata. Le SS sono spietate. Uccidono le due famiglie ebree nascoste, poi uccidono Josef e Viktoria (incinta di 7 mesi) con un colpo alla testa, poi uno ad uno Stasia, Basia, Wladzio, Franus, Antons e Marysia, i loro sei figli.

La famiglia Ulma è solo una delle storie che andrebbero raccontate. Dei 120 ebrei di Markowa sopravvissuti, 21 devono la vita proprio alle famiglie di Markowa. E non furono i soli. Se ci furono ovviamente gli antisemiti e coloro che denunciarono gli ebrei tra i polacchi, ci furono anche episodi - e tanti - di una generosità senza confini. Va detto oggi, dopo che per anni si è pensato il contrario a causa di una campagna stampa del Partito comunista polacco che, alla fine degli Anni Sessanta, aveva rovesciato la storia e  fatto della popolazione polacca una sorta di complice dei nazisti nel cacciare e uccidere gli ebrei.

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Non era così, e nuove ricerche lo testimoniano. In particolare quelle di Mateusz Szpytma, uno storico che si è dedicato soprattutto a studiare le vicende di Markowa, e le ha inserite nel volume “Il libro dei Giusti e il loro mondo”. Non c’è solo lui. Elzbieta Raczy e Ogot Witowicz, ricercatori, hanno pubblicato nel 2011 il rapporto “I polacchi che hanno salvato gli ebrei”. E nel rapporto contano n un numero tra i mille e i 5 mila i polacchi che sono stati uccisi per aver nascosto gli Ebrei.

Difficile ricostruire l’intera storia, dopo la campagna comunista. Ma si sta andando avanti, e la storia dei giusti di Markowa è raccontata in un museo che è stato inaugurato alla fine di marzo da Andrzej Duda, presidente della Repubblica, alla presenza, tra gli altri, di un esponente del Pontificio Consiglio della Cultura. Un museo che ha avuto il suo peso nella Gmg: lo hanno visitato almeno 1300 giovani. Per non dimenticare.

E così, quando il parroco polacco ha letto il De Profundis, sono passate davanti agli occhi di Papa Francesco, e in quelle dei giovani le storie dei Giusti di Markowa, che hanno sacrificato la vita per salvare i loro fratelli.