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Bielorussia, un Paese cristiano grazie alla pietà popolare

Arcivescovo Kondrusiewicz e Papa Francesco | L'arcivescovo Kondrusiewicz con Papa Francesco al termine dell'incontro per la visita ad limina, Palazzo Apostolico Vaticano, 1 febbraio 2018 | www.vatican.by Arcivescovo Kondrusiewicz e Papa Francesco | L'arcivescovo Kondrusiewicz con Papa Francesco al termine dell'incontro per la visita ad limina, Palazzo Apostolico Vaticano, 1 febbraio 2018 | www.vatican.by

Quello che è stato presentato a Papa Francesco nella visita ad limina dello scorso 1 febbraio è un Paese cattolico nonostante fosse un poligono dell’ateismo sovietico, tenuto in piedi grazie alla pietà popolare, che attende con ansia la visita del Papa. L’arcivescovo Tadeusz Kondrusiewicz di Minsk racconta così ad ACI Stampa la visita ad limina dei vescovi di Bielorussia.

La Bielorussia è un Paese pieno di fede. Ma come è resistita la fede in tempo di comunismo?

Con la pietà popolare. Una pietà popolare che ancora viva. Ci sono rosari, pellegrinaggi, via Crucis. Ogni diocesi ha un santuario mariano. E tutti i sacerdoti della diocesi organizzano giornate con meditazioni, preghiera e confessione, una realtà che è molto piaciuta a Papa Francesco. Grazie alla pietà popolare abbiamo trasmesso la fede ai tempi dell’ateismo. Oggi, non posso immaginare la Bielorussia del futuro senza pietà popolare.

In cosa la Bielorussia si distingueva dalle altre nazioni sotto l’orbita sovietica?

Delle Chiese vicine, quella più forte era in Lituania: lì, la Chiesa era perseguitata, ma rimanevano dei vescovi, c’era il seminario. In Bielorussia no: non c’erano né vescovi, né seminari, la nazione era quasi un poligono dell’ateismo. Eppure, la fede è stata preservata e trasmessa alle nuove generazioni grazie alla famiglia. Oggi, la Bielorussia è il secondo Paese ex sovietico per numero di cattolici di rito latino.

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Quali sono le maggiori difficoltà per diffondere la fede in Bielorussia?

Abbiamo avuto due o tre generazioni senza normale formazione cristiana – un problema che accomuna sia i cattolici che gli ortodossi. Così, oggi ci troviamo una società spaccata: i più anziani sono credenti, e lo sono i giovani, ma al generazione di mezzo non crede, o crede in maniera superficiale, e non dà un buon esempio ai più giovani. La prossima generazione sarà sicuramente ancora più fedele.

Ma cosa è stato decisivo nei tempi del comunismo?

La testimonianza dei membri della nostra famiglia. Si iniziava ogni giornata con la preghiera, e si concludeva ogni giornata con una preghiera tutti insieme, cui faceva seguito una semplice catechesi. Non c’era grande teologia. Non c’era nulla in quel senso. Ma c’era la preghiera, c’era il senso dei sacramenti. Non avevamo, ad esempio, il sacerdote, che veniva due, massimo tre volte l’anno. Ma la chiesa la domenica è aperta, e noi andavamo in chiesa. Non c’era la messa, ma facevamo la litania, i canti, la Via Crucis. Questo ha fatto sì che rimanesse la coscienza della Messa della domenica, e questa coscienza poi si è ristabilita con il crollo del comunismo.

Avete raccontato tutto questo al Papa?

Gli abbiamo spiegato la situazione della nostra Chiesa. L’incontro è stato uno scambio, un dialogo, il Papa ha fatto molte domande. Noi abbiamo raccontato le cose che abbiamo fatto: 25 anni fa c’erano solo 110 parrocchie, oggi sono 500; 25 anni fa c’erano 70 sacerdoti, oggi sono 500. In tutti questi anni, abbiamo sviluppato molto la pastorale delle famiglie, la pastorale della gioventù e la pastorale vocazionale. Ma abbiamo raccontato al Papa anche i problemi che viviamo. In particolare, i problemi della famiglia, perché circa il 50 per cento delle famiglie sono divorziate.

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Sono stati affrontati anche i rapporti con il governo?

Sì, in particolare due nodi critici, sebbene i rapporti con il governo siano molto buoni. Il primo riguarda i sacerdoti stranieri: abbiamo circa 90 sacerdoti stranieri, ma il numero diminuisce ogni anno, perché l’Ufficio per gli Affari Religiosi del governo concede sempre meno permessi per rimanere. Il Papa si è molto meravigliato di questa situazione, perché – sottolineava – in un mondo globalizzato è strano che si verifichino queste situazioni. L’altro nodo critico riguardano i permessi per costruire le chiese: li otteniamo, ma con difficoltà.

C’è stato qualche tema che è interessato al Papa?

Ci ha chiesto con interesse della formazione dei sacerdoti, ed era evidente che per lui era un tema importante. Ci ha chiesto anche di come andava la preparazione per il Sinodo e per la Giornata Mondiale della Gioventù di Panama. Lo abbiamo informato delle nostre attività, e in particolare della Giornata della Gioventù diocesana che teniamo ogni anno. E questo è molto piaciuto al Papa.

Avete fatto al Papa delle richieste?

Abbiamo chiesto in particolare di pensare a stabilire nuove diocesi. Ne abbiamo quattro, ma sono territori molto grandi, difficili da gestire. E poi, abbiamo parlato della situazione dei greco cattolici, che hanno un visitatore apostolico, ma non hanno un vescovo incaricato.

Si pensa ad un viaggio del Papa in Bielorussia?

Lo abbiamo chiesto al Papa, che ci ha detto che amerebbe venire in Bielorussia, ma che l’agenda di quest’anno è già piena, considerando anche che ottobre è il mese del Sinodo. Per noi è una grande speranza che venga.

Una visita del Papa darebbe difficoltà con la Chiesa ortodossa, dato che Minsk è sotto il Patriarcato di Mosca e una visita a Minsk potrebbe equivalere ad una visita a Mosca?

Papa Francesco non ha menzionato le possibili difficoltà. Si è mostrato molto interessato. Noi abbiamo buone relazioni, anche con il mondo ortodosso. E ci sono molti sacerdoti ortodossi che non hanno alcun problema con la visita.