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Cantalamessa: “La croce di Cristo è l’unica speranza del mondo”

Passione del Signore |  | Daniel Ibanez, ACI Group
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Padre Raniero Cantalamessa |  | Daniel Ibanez, ACI Group
Padre Raniero Cantalamessa | | Daniel Ibanez, ACI Group

L’immagine del Papa prostrato dinanzi alla Croce apre la celebrazione della Passione del Signore. Nel pomeriggio del Venerdì Santo, nella Basilica Vaticana, è il Papa a guidare la liturgia, ma è il predicatore della Casa Pontificia, Padre Raniero Cantalamessa, ad offrire una riflessione.

Il racconto della Passione è quello secondo Giovanni. “E’ il racconto di una morte violenta – commenta il predicatore nell’omelia - Notizie di morti, e di morti violente, non mancano quasi mai dai notiziari serali”.

Il frate cappuccino ricorda quella dei 38 cristiani copti uccisi in Egitto la domenica delle Palme e quella dei bimbi siriani uccisi dalle armi chimiche. “Queste notizie – prosegue - si susseguono con tale rapidità da farci dimenticare ogni sera quelle del giorno prima. Perché allora, dopo 2000 anni, il mondo ricorda ancora, come fosse avvenuta ieri, la morte di Cristo? È che questa morte ha cambiato per sempre il volto della morte; essa ha dato un senso nuovo alla morte di ogni essere umano”.

Padre Cantalamessa analizza questa domanda. “Esiste ormai – osserva -  dentro la Trinità e dentro il mondo, un cuore umano che pulsa, non solo metaforicamente, ma realmente. Se Cristo, infatti, è risorto da morte, anche il suo cuore è risorto da morte; esso vive, come tutto il resto del suo corpo, in una dimensione diversa da prima, reale, anche se mistica”. Al cuore che pulsa si contrappone il “cuore di tenebra”, “il colmo della malvagità che può ammassarsi in seno all’umanità”.

Padre Cantalamessa prova poi a spiegare il significato dell’emblema della giornata che viviamo oggi: la croce. “Essa è il “No” definitivo e irreversibile di Dio alla violenza, all’ingiustizia, all’odio, alla menzogna, a tutto quello che chiamiamo “il male”; ed è contemporaneamente il “Si” altrettanto irreversibile all’amore, alla verità, al bene. “No” al peccato, “Si” al peccatore. È quello che Gesú ha praticato in tutta la sua vita e che ora consacra definitivamente con la sua morte”. Per il predicatore “la croce non “sta” dunque contro il mondo, ma per il mondo: per dare un senso a tutta la sofferenza che c’è stata, c’è e ci sarà nella storia umana. La croce è la proclamazione vivente che la vittoria finale non è di chi trionfa sugli altri, ma di chi trionfa su se stesso; non di chi fa soffrire, ma di chi soffre”.

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Poi la riflessione di Padre Cantalamessa si sposta sulla società, una “società liquida” per il frate cappuccino, dove “non ci sono più punti fermi, valori indiscussi, nessuno scoglio nel mare, a cui aggrapparci, o contro cui magari sbattere”. “È stato detto che – precisa il predicatore -  uccidere Dio è il più orrendo dei suicidi, ed è quello che in parte stiamo vedendo. Non è vero che “dove nasce Dio, muore l’uomo” (J.-P. Sartre); è vero il contrario: dove muore Dio, muore l’uomo.”

Il predicatore poi riporta alla mente di tutti un dipinto di Salvador Dalì, un crocifisso che “sembra una profezia di questa situazione”. “Una croce immensa, cosmica, con sopra un Cristo, altrettanto monumentale, visto dall’alto, con il capo reclinato verso il basso – spiega il frate- sotto di lui, però, non c’è la terra ferma, ma l’acqua. Il Crocifisso non è sospeso tra cielo e terra, ma tra il cielo e l’elemento liquido del mondo. Questa immagine tragica (c’è anche, sullo sfondo, una nube che potrebbe alludere alla nube atomica), contiene però anche una consolante certezza: c’è speranza anche per una società liquida come la nostra! C’è speranza, perché sopra di essa “sta la croce di Cristo”.

“È quello che – qui il cardine dell’omelia del predicatore della Casa Pontificia - la liturgia del Venerdì Santo ci fa ripetere ogni anno con le parole del poeta Venanzio Fortunato: “O crux, ave spes unica”, Salve, o croce, unica speranza del mondo”.

Conclude infine Padre Raniero Cantalamessa la sua omelia dinanzi a Papa Francesco: “Non dobbiamo fermarci, come i sociologi, all’analisi della società in cui viviamo. Cristo non è venuto a spiegare le cose, ma a cambiare le persone. Il cuore di tenebra non è soltanto quello di qualche malvagio nascosto in fondo alla giungla, e neppure quello della società che lo ha prodotto. In misura diversa è dentro ognuno di noi. Il cuore di carne, promesso da Dio nei profeti, è ormai presente nel mondo: è il Cuore di Cristo trafitto sulla croce, quello che veneriamo come “il Sacro Cuore”. Nel ricevere l’Eucaristia, crediamo fermamente che quel cuore viene a battere anche dentro di noi”.