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CEI, un vademecum per l’accoglienza

Immigrati a Lampedusa | Immigrati a Lampedusa | da Flickr Immigrati a Lampedusa | Immigrati a Lampedusa | da Flickr

Il Papa ha invitato tutte le chiese ad accogliere i rifugiati. E nell’accogliere questo appello, la Conferenza Episcopale ha diffuso un vademecum sull’accoglienza. Diocesi, parrocchie, famiglie, comunità religiose fanno già moltissimo, e accolgono in 1600 differenti strutture 22 mila dei migranti sui 95 mila che arrivano nel nostro Paese. Il vademecum parte da questo impegno. E rilancia la sfida dell’accoglienza, nell’Anno del Giubileo. Con la sfida di guarire il dramma dell’immigrazione nelle terre da cui le persone partono.

“Nell’anno giubilare le Chiese in Italia si impegneranno a sostenere 1000 microrealizzazioni nei Paesi di provenienza dei migranti in fuga da guerre, fame, disastri ambientali, persecuzioni politiche e religiose,” scrive la CEI.

D’altronde, il Giubileo è sempre stato caratterizzato da gesti di liberazione e di carità. Ricordano, i vescovi italiani, il coinvolgimento delle parrocchie per la cancellazione del debito del terzo mondo, messo in atto durante il Giubileo del 2000. E delinea un percorso per l’accoglienza.

Un percorso da fare in tappe. Prima tappa, la formazione dei fedeli. Una formazione destinata a far “conoscere chi arriva da noi;” ma soprattutto a “preparare chi accoglie (parrocchie, associazioni, famiglie) con strumenti adeguati (lettera, incontro comunitario, coinvolgimento delle realtà del territorio…); costruire una piccola équipe di operatori a livello diocesano e di volontari a livello parrocchiale e provvedere alla loro preparazione non solo sul piano sociale, legale e amministrativo, ma anche culturale e pastorale, con attenzione anche alle cause dell’immigrazione forzata.” La Caritas e la Fondazione Migrantes sono chiamate a prendersi cura di questo aspetto.

Sottolinea, il vademecum, che le Chiese in Italia sono sempre state pronte nell’accoglienza, perché “l’azione di carità nei confronti dei migranti è un diritto e un dovere proprio della Chiesa e non costituisce esclusivamente una risposta alle esigenze dello Stato, né è collaterale alla sua azione.” Ma non si tratta di un gesto politico, e per questo le diocesi non si impegnano a gestire i centri di prima accoglienza, ma favorisce la circolazione delle informazioni su immigrati e rifugiati e raccoglie le disponibilità all’accoglienza.

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Dove accogliere? Il Vademecum individua la possibilità di accogliere le persone nei locali della parrocchia, o in appartamenti in affitto, o ancora ospiti delle famiglie, o in case religiosi e monasteri, magari negli spazi destinati a un santuario. Meglio, invece, non affidare alle Prefetture edifici che sono di proprietà di un ente ecclesiastico.

La Cei individua anche chi è meglio accogliere. La priorità è data alla famiglia. Poi magari gruppi di persone della stessa nazionalità che hanno presentato già domanda d’asilo. E ha ricevuto l’ok all’asilo, ma ancora non è entrato in un progetto SPRAR per un percorso di integrazione sociale in Italia. Particolare attenzione per quanti hanno già avuto una forma di protezione internazionale, ma non hanno prospettive di inserimento sociale. Meglio invece non ospitare i minori non accompagnati. “Per la delicatezza della tipologia di intervento, in termini giuridici, psicologici, di assistenza sociale, intrinseci alla condizione del minore non accompagnato, il luogo più adatto per la sua accoglienza non è la parrocchia, ma la famiglia affidataria o un ente accreditato come casa famiglia, in conformità alle norme che indicano l’iter e gli strumenti di tutela,” spiega la CEI.

Si pensa anche a un servizio di prima assistenza per quanti lasceranno poi l’Italia: in effetti per 2 migranti su 3 l’Italia non è un punto di arrivo, ma di semplice approdo.

Per i richiedenti asilo, l’accoglienza dura dai 6 mesi ad un anno, con le dovute eccezioni. Ma viene incoraggiata anche la cura pastorale di quelli che sono di passaggio, mantenendo i contatti con loro fino alla destinazione finale.

Come affrontare la burocrazia? I vescovi suggeriscono che si individui in diocesi un ente “capofila dell’accoglienza,” da accreditare in prefettura (che sia una fondazione, una cooperativa, istituto religioso) che possa seguire gli aspetti burocratici e che raccoglierà le richieste di disponibilità e curerà la destinazione delle persone.

“La parrocchia diventa, pertanto, una delle sedi e dei luoghi distribuiti sul territorio che cura l’ospitalità, aiutando a costruire attorno al piccolo gruppo di migranti o alla famiglia una rete di vicinanza e di solidarietà che si allarga anche alle realtà del territorio. L’impegno accompagna il migrante fino a che riceve la risposta alla sua domanda d’asilo, che gli consentirà di entrare in un progetto SPRAR o di decidere la tappa successiva del suo percorso,” si legge nel vademecum.

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Posto che l’accoglienza è sempre gratuita, ma la parrocchia può anche rientrare in una convenzione o in un capitolato con un ente gestore, diventando una delle strutture di accoglienza del territorio, con tutto quel che ne consegue, anche in termini economici. Oppure, se la parrocchia ospita, può ricevere un rimborso dall’ente gestore capofila, che vengono messe a bilancio. Tutta la fiscalità, osservano i vescovi, deve essere a norma.

Ma l’accoglienza non deve far dimenticare –scrive la CEI - “le cause del cammino e della fuga dei migranti che arrivano nelle nostre comunità: dalla guerra alla fame, dai disastri ambientali alle persecuzioni religiose.” E il vademecum fa alcuni buoni esempi di cooperazione internazionale e missionaria, “attraverso le proposte di Caritas Italiana e di Missio, della FOCSIV e della rete dei missionari presenti nelle diverse nazioni di provenienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati.”

Sono previste anche operazioni di monitoraggio, verifica e informazione. Se ne occuperà, a livello nazionale, l’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI, il quale “predisporrà strumenti di raccolta dati e di esperienze, che possano mettere in comune il cammino e le esperienze di accoglienza nelle diocesi,” mentre “la Commissione Episcopale per le migrazioni prevederà un incontro annuale con il Tavolo nazionale di monitoraggio per una verifica, così da preparare una relazione sulla situazione da presentare durante i lavori dell’Assemblea generale dei vescovi.” Da valutare caso per caso eventuali contributi della CEI alle diocesi più in difficoltà economica nel provvedere l’accoglienza.