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Conflitto israelo-palestinese, le preoccupazioni della Santa Sede

Sede delle Nazioni Unite | Nazioni Unite, New York | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa Sede delle Nazioni Unite | Nazioni Unite, New York | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa

La soluzione “due popoli, due Stati” per l’annoso conflitto israelo-palestinese potrebbe essere a rischio. È il grido di allarme lanciato dall’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso la Sede ONU di New York.

L’arcivescovo ha parlato in un dibattito al Consiglio di Sicurezza lo scorso 18 aprile, tutto dedicato ai conflitti in Medio Oriente. E non ha mancato di esprimere le perplessità della Santa Sede sulla situazione nella Regione. Una situazione che lo stesso Papa Francesco segue con attenzione (si pensi alla preghiera per la Pace in Medio Oriente nei Giardini vaticani) e che la diplomazia della Santa Sede sperava di sviluppare anche attraverso l’accordo firmato con lo Stato Palestinese.

Tutti temi che aumentano la preoccupazione della Santa Sede che la soluzione dei due Stati “sia in pericolo di fallimento”, dato che i colloqui di pace “sono in stallo” e “la retorica infiammatoria, gli atti di terrore, le azioni unilaterali” metto a dura prova “gli sforzi per restaurare un dialogo significativo”.

Uno scenario “frustrante”, commenta l’Osservatore Permanente, che porta anche l’appello di Papa Francesco affinché “israeliani e palestinesi” considerino il bisogno di pace delle loro popolazioni. “Non c’è semplicemente altra strada”, afferma l’arcivescovo Auza.

“La Santa Sede – prosegue – crede fermamente che la soluzione dei due Stati fornisce la migliore possibilità di una soluzione pacifica”, e per questo “deve diventare una realtà, e non diventare meramente un sogno”.

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L’Osservatore cita i discorsi di Papa Francesco, ne reitera gli appelli, sottolinea la speranza che “l’Accordo Globale tra Santa Sede e Stato di Palestina incoraggi tutte le parti in conflitto a impegnarsi in maniera sincera in una soluzione pacifica e negoziata”, e che l’accordo “serva da esempio di dialogo e cooperazione, in particolare per altri nazioni arabe e a maggioranza musulmana.”

L’Osservatore poi chiede anche una speciale attenzione per il Libano, dove “i rifugiati dai conflitti vicini costituiscono quasi un quarto della loro popolazione”, e dove non c’è un presidente da due anni, ragion per cui si appella alla comunità internazionale per “assistere i leader del Libano a stabilire in maniera costituzionale il loro governo”.

Quindi, l’arcivescovo Auza sostiene “una azione politica collettiva” che fermi “la diffusione del fondamentalismo e dell’estremismo” che sparge terrore in molte nazioni, dal Nord Africa al Medio Oriente. “L’internazionalizzazione del terrore – dice – può essere affrontata solo da un responso internazionale collettivo”. Non basta l’azione militare, ma anche andando alle radici delle ragioni di cui si ciba il terrorismo internazionale. Per questo, l’Osservatore Permanente chiede ai leader religiosi di “stigmatizzare” quanti usano la religione come giustificazione per gli atti di terrore.

Infine, il nunzio invita ad ascoltare “gli appelli dei cristiani e delle altre minoranze religiose in Medio Oriente”, che “soffrono la persecuzione, sono massacrati, arsi vivi o affogati perché non condividono le visioni ideologiche o religiose dei loro persecutori”.