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Coraggio, perdono, riconciliazione: la Santa Sede sul viaggio del Papa in Colombia

Arcivescovo Bernardito Auza | L'arcivescovo Bernardito Auza durante l'evento della Santa Sede sulla Colombia, 20 ottobre 2017 | Holy See Mission to United Nations Arcivescovo Bernardito Auza | L'arcivescovo Bernardito Auza durante l'evento della Santa Sede sulla Colombia, 20 ottobre 2017 | Holy See Mission to United Nations

Quale è stato l’impatto della visita di Papa Francesco in Colombia? Se lo è chiesto la missione della Santa Sede presso le Nazioni Unite, con un evento al Palazzo di Vetro di New York lo scorso 20 ottobre. Ma l’impegno per la pace si concretizza anche in altri ambiti: la promozione del disarmo integrale, la questione dello spazio, e la gestione della crisi dei rifugiati in Europa.

Il viaggio del Papa in Colombia

Non un viaggio per celebrare l’accordo di pace, che tra l’altro non ha goduto dei favori del voto popolare, ma un viaggio per rianimare la speranza: così era stato definito il viaggio di Papa Francesco in Colombia, dal 6 all’11 settembre scorsi. A poco più di un mese dal viaggio, la missione ONU della Santa Sede ha organizzato un “side event”, un evento laterale, per guardare all’impatto del viaggio del Papa in quella terra.

L’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di New York, ha voluto sottolineare cinque necessari passi per trasformare la violenza in fraternità, identificati nei discorsi del Papa in Colombia.

Il primo passo è quello del coraggio, perché “ci vuole una distinta forza di coraggio morale” che ci forzi ad andare oltre di noi. Il secondo è il perdono, andando oltre la “tentazione della vendetta”, specialmente dopo decenni di sfudcia e spargimento di sangue. Quindi, è necessaria la “riconciliazione”, perché quando c’è una offerta reciproca di perdono, allora c’è la capacità di riconciliazione. Ma questa non può giungere – è il quarto passo – senza “verità e giustizia”. Infine, lo sviluppo della cultura dell’incontro, che contrasta “la cultura della violenza e della disintegrazione sociale che viene dalle droghe e dalla violenza stessa”. 

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Questi cinque passaggi sono il messaggio che il Papa ha lasciato alla Colombia – secondo l’arcivescovo Auza – per costruire un mondo di pace. “Piuttosto che aspettare che gli altri facciano la prima mossa – ha detto l’osservatore della Santa Sede – il Papa ha chiesto tutti di andare ad incontrare gli altri, portando loro un abbraccio di pace libero da violenza”.

Il Medio Oriente

La situazione in Medio Oriente è spesso oggetto delle riunioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Lo scorso 18 ottobre, c’è stato un altro dibattito al Palazzo di Vetro. La Santa Sede ha notato che la questione palestinese è tra quelle più “importanti tra i problemi che affronta il Medio Oriente”, sottolineando che “l’unica opzione per una pacifica coesistenza è quella di avere due Stati indipendenti”. Per questo, la Santa Sede ha chiesto sia alle autorità palestinesi che a quelle israeliane di “trattenersi dal compiere ogni azione di provocazione, e di mostrare una volontà determinata di impegnarsi in sinceri negoziati”, chiedendo la “garanzia” di un accesso “senza ostacoli” ai Luoghi Santi. Tra le altre situazioni di crisi del Medio Oriente, la Santa Sede ha menzionato la crisi dei rifugiati in Giordania, Libano, Iraq, Turchia ed Egitto, e ha sottolineato che servono maggiori fondi e un trattamento di uguaglianza per tutti i rifugiati, senza distinzione di razza o religione.

Lo spazio

Papa Francesco parlerà con la stazione spaziale internazionale il prossimo 26 ottobre. Ma l’uso dello spazio è anche uno dei temi che si discutono alle Nazioni Unite. Due i dibattiti che si sono tenuti sul tema alle Nazioni Unite di New York la scorsa settimana.

Il 17 ottobre, si è parlato della “Cooperazione internazionale per gli usi pacifici dello spazio”, l’Arcivescovo Auza ha parlato dello spazio come di una “eredità comune dell’umanità, per questo destinata al bene comune”, notando una crescita delle attività nello spazio, che hanno portato anche ad una crescita dell’inquinamento spaziale. Ha quindi chiesto di prendere “misure urgenti” per combattere “l’inquinamento spaziale”, attraverso trattati, linee guida e agenzie che “adeguatamente salvaguardino gli usi sostenibili e pacifici dello spazio”.

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Nello stesso giorno, si è parlato anche di “Prevenzione della corsa alle armi nello spazio”. Da sempre, la Santa Sede lavora per un “disarmo integrale”, e supporta in generale tutti i trattati di non proliferazione delle armi. E da sempre la Santa Sede ha guardato con attenzione al problema della corsa alle armi nello spazio. Ora, l’arcivescovo Auza lancia l’allarme, e chiede di prevenire la possibilità che lo spazio diventi “un’area di militarizzazione” e di armamento proprio nel cinquantesimo anniversario del Trattato sullo Spazio che punta a “prevenire che i conflitti sulla terra diventino conflitti spaziali”. Piuttosto – ha detto – va stimolato “il pacifico sviluppo” verso lo spazio, perché le tecnologie spaziali, usate con scopi di pace, hanno avuto un grande e positivo impatto sull’umanità. Basti pensare – ha detto – ai satelliti che sono importanti non solo per la vita quotidiana delle persone, ma sono anche usate per monitorare lo sviluppo e le operazioni umanitarie, e trovare prove di possibili genocidi.

Il disarmo integrale

Non solo il disarmo spaziale. La questione del disarmo sulla terra è stata oggetto di un dibattito del 16 ottobre. Parlando di “Disarmo generale e completo”, l’arcivescovo Auza ha messo in luce che, nonostante i progressi sui trattati internazionali e convenzioni”, e nonostante “i segni di progresso sul tema del disarmo nucleare” (la Santa Sede ha supportato il processo votando per la prima volta in un negoziato quando si è discusso del bando delle armi nucleari), la questione del disarmo integrale è rimasta “oscurata”, mentre i vecchi poteri nucleari “stanno competendo per modernizzare i loro arsenali nucleari”, mentre altri stanno cercando di diventare “potenze nucleari”, e la legge umanitaria “è stata tenuta in scarsa considerazione in vari conflitti”, in cui sono state usate armi “proibite dei trattati internazionali”.

“C’è un chiasmo tra impegni e azioni”, ha denunciato l’osservatore della Santa Sede.

L’agricoltura

Il discorso di Papa Francesco alla FAO dello scorso 16 ottobre è solo il culmine di un lavoro sui temi della nutrizione che la Santa Sede fa a livello internazionale. Lo scorso 16 ottobre, le Nazioni Unite hanno affrontato il tema degli “Sviluppi Agricoli, la Sicurezza del Cibo e la Nutrizione”. Nell’occasione, la Santa Sede ha dato le cifre della fame nel mondo: ci sono 108 milioni di persone che soffrono la fame, cifra che non fa pensare che si possa “sradicare la fame entro il 2030”, che è uno degli obiettivi dell’agenda ONU. C’è bisogno – ha detto l’arcivescovo Auza – “di una solidarietà pratica che garantisca il diritto di ogni persona di essere liberi da povertà e fame”, perché queste non sono solo parte di problemi locali e naturali, ma provengono anche dall’egoismo dell’essere umano. Insomma, non solo sviluppo tecnologico per garantire cibo per tutti (e il riferimento è anche agli OGM, su cui la Santa Sede è comunque cauta), ma piuttosto uno sviluppo di compassione e solidarietà.

Qui Ginevra: il tema dei rifugiati

Tre dibattiti sul Global Compact sui rifugiati hanno caratterizzato la settimana della sede di Ginevra delle Nazioni Unite. La Santa Sede - che è anche membro dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni – ha un forte interesse sul tema, e lo ha sviluppato nel corso di tre interventi, in cui in pratica chiedeva una gestione della crisi dei rifugiati che non fosse dettata solo da ragioni di sicurezza.

L’idea di un Global Compact, ovvero di un accordo globale, sui rifugiati va di pari passo con quella di un Global Compact sulle migrazioni, tema sul quale la Santa Sede ha lavorato alacremente, anche con incontri in Vaticano.

In un intervento del 17 ottobre, l’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore permanente della Santa Sede all’ONU di Ginevra, ha ricordato che la Convenzione del 1951 stabilisce che “i rifugiati sono un problema comune della comunità internazionale”, che per questo è chiamata ad affrontare il tema collettivamente, e deve tenere in considerazione il problema anche nella distribuzione delle risorse. Ma ha anche aggiunto che “mentre si deve assicurare preparazione” per accogliere i movimenti di rifugiati, la comunità internazionale non può per questo motivo “subappaltare” la responsabilità di protezione di alcune aree perché sono prossime alle zone di guerra, né questa situazione deve essere interpretato come un “contenimento dei movimenti di rifugiati”.

Il 18 ottobre, il tema della discussione era il supporto all’inclusione dei rifugiati nei sistemi e servizi nazionali. La Santa Sede ha lanciato l’allarme sui rifugiati bambini: secondo i dati delle Nazioni Unite, ci sono 3,5 milioni di rifugiati tra i 5 e i 17 anni, che non hanno avuto, ad esempio, l’opportunità di andare a scuola. La possibilità di studio per i rifugiati bambini deve allora essere il primo passo, anche perché le scuole sono una forma di protezione.

Il tema della sicurezza è invece stato oggetto di un dibattito specifico su “Come possiamo supportare gli Stati riceventi ad identificare le persone che hanno bisogno di protezione internazionale?” L’arcivescovo Ivan Jurkovic ha notato che la protezione internazionale deve essere vista come una funzione dinamica e orientata all’azione, e non come un soggetto astratto, con l’obiettivo di salvaguardare la dignità e sicurezza delle persone.

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Per questo – ha aggiunto – “mettere in sicurezza il controllo delle frontiere” e “il benessere dei rifugiati e dei richiedenti asilo” non può essere visto come una dicotomia. Le due cose “si rinforzano mutuamente” e per questo è importante “adottare politiche nazionali inclusive e discriminatorie” che diano la priorità alla “salvaguardia e la protezione dei cittadini” ma anche ai “rifugiati e ai richiedenti asilo”, perché altrimenti si rischia di ignorare “le tragedie che costringono le persone a cercare protezione altrove. La Santa Sede chiede di valutare la protezione a partire dal punto di vista di quanti sono sradicati dalla propria terra, e invoca il principio internazionale del non refoulement, che impedisce alle nazioni che ricevono richiedenti asilo di dislocare queste persone in posti dove potrebbero essere in pericolo.

La proprietà intellettuale

Infine, la Santa Sede a Ginevra ha parlato anche sul tema della proprietà intellettuale presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Si parla di TRIPs, trattati internazionali sui brevetti, e – tra le posizioni sviluppate dalla Santa Sede nel corso degli anni – c’è stata anche l’idea di basarsi su una particolare clausola del trattato per non concedere brevetti alle nuove armi, in modo da bloccare il commercio e il profitto internazionale. Ma la questione della proprietà intellettuale tocca anche temi cruciali, come l’accesso ai farmaci, costosissimi a causa dei brevetti e per questo di difficile accesso per i più poveri.

Per questo, la delegazione della Santa Sede ha messo in luce come “l’accelerazione della ricerca di soluzione a problemi nel mondo” si è accompagnata ad una accelerazione di investimenti che hanno traasformato “la proprietà intellettuale in un bene economico”, e questo rende “ancora più critici” i bisogni della nazioni in via di sviluppo, perché “l’accesso ai beni della conoscenza è un requisito indispensabile per il sistema internazionale”, e le nazioni in via di sviluppo sono chiamate a proteggere questo patrimonio con nuove leggi.

“Il rispetto all’esercizio dei diritti di proprietà intellettuale – ha sottolineato la Santa Sede – è chiaramente subordinato al bene comune. Serve da mezzo e da fine, e non solo meramente da fine”.