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Debito estero, la Santa Sede: “Più responsabilità comune delle nazioni”

Ufficio ONU di Ginevra | Ufficio ONU di Ginevra | CC Ufficio ONU di Ginevra | Ufficio ONU di Ginevra | CC

Si dipana in tre fasi la ricetta della Santa Sede per la risolvere la questione del debito estero. “Promuovere un modello responsabile di ricevere e dare prestiti; prevenire sia l’evasione fiscale sia il flusso verso l’esterno di fondi illeciti dalle nazioni debitrice; e creare un chiaro e trasparente processo di risoluzione del debito estero”. Sono i tre punti sviluppati da Monsignor Richard Gyhra, Chargé d’Affairs alla Missione Permanente della Santa Sede presso l’Ufficio ONU di Ginevra.

È monsignor Gyhra a prendere la parola alla 31esima sessione del consiglio dei Diritti Umani. Una sessione tutta dedicata ai diritti umani e al debito estero. Nelle parole di monsignor Gyhra, ci sono gli echi degli allarmi della Santa Sede per la crisi economica esplosa nel 2008, una crisi “morale” prima che economica, come ebbe a definirla Benedetto XVI. Ma si ritrova anche l’idea della tassazione delle transazioni finanziarie, contenute in uno studio promosso dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace che proponeva una “autorità mondiale con competenze universale” per rispondere alla crisi economica e creare un sistema nuovo e sostenibile per tutti. Un libretto pesantemente attaccato al tempo della pubblicazione, del quale invece molte idee sono state poi riprese, quasi in maniera silente.

Monsignor Gyhra ricorda che, dalla crisi del 2008, molte “economie sviluppate” sono passate a “strumenti di politica monetaria non convenzionali” nel loro sforzo di recuperare il denaro perso, ragion per cui gli effetti della crisi si sono sentiti in maniera anche più forte in Paesi che erano in qualche modo collegati alle economie forti.

Due i fattori determinanti della crisi economica, secondo la Santa Sede: spesa irresponsabile e prestiti concessi in maniera irresponsabile. Tanto che “tra le nazioni debitrice c’è corruzione, scarsa amministrazione della moneta pubblica e un utilizzo improprio dei fondi ricevuti”, mentre quanti hanno prestato hanno investito “in maniera irresponsabile” e fondi “che predano le persone” hanno sfruttato sia le nazioni sviluppate che quelle in via di sviluppo.

Insomma, non basta la soluzione economica. Perché risolvere il problema del debito è anche “un problema di volontà politica”. Ci vuole una “transizione” verso un nuovo sistema, e la Santa Sede spera di muoversi “verso economie di mercato democratiche, socialmente responsabili, in modo che i bisogni delle persone vengano meglio gestiti, e le persone possano muoversi al massimo del loro potenziale”. Perché “le persone sono più pronte ad accettare sacrifici se sanno che ci sarà qualcosa di meglio dopo”.

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Si deve superare l’ineguaglianza, che “colpisce il debito sovrano in maniera diretta e indiretta”, anche per via del fatto che “le tasse sui redditi non è progressiva”, il che diminuisce “i guadagni sovrani e fa così lo Stato più dipendente sul denaro preso in prestito”.

Il Fondo Monetario Internazionale, dal canto suo – dice monsignor Gyhra – non “fornisce solo assistenza alle nazioni in situazioni di difficoltà di pagamenti esterni”, ma anche aiuta “le nazioni in debito a mantenere gli obblighi di pagamento” e allo stesso tempo a “restaurare una confidenza con i mercati” con politiche “attaccate in maniera condizionata” agli aiuti.

La Santa Sede suggerisce un “organismo multilaterale” che coinvolga il settore privato nella risoluzione di crisi finanziarie”.

Serve comunque una autorità. Perché, quando è esplosa la crisi, “in assenza di un quadro giuridico imparziale e istituzionale, coloro che prestavano monete erano diventati di fatto giudici delle loro stesse rivendicazioni contro coloro che avevano ricevuto il prestito”.

La Santa Sede chiede “un set di regole internazionali”, che “possa forza i creditori ad accettare i termini della ristrutturazione del debito”. Ci sono proposte in merito, aggiunge monsignor Gyhra, sin dall’inizio degli anni Ottanta.

Da considerare, aggiunge, “l’interdipendenza” che dovrebbe portare a “un più ampio concetto di solidarietà, che rispetti la dignità di tutte le nazioni, piuttosto che lasciare il tutto alla dominazioni delle nazioni più forti, all’egoismo nazionale, all’ineguaglianza e all’ingiustizia.

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Servono una nuova tassazione e trasferimenti di denaro per ridurre le diseguaglianze, sottolinea monsignor Gyhra. Il quale poi conclude :”Eliminare la povertà significa, tra le altre cose, permettere a tutti i popoli, specialmente le donne e le persone con disabilità, di essere partecipanti attivi dell’economia e della società. L’efficacia del nostro sistema economico nel rispondere ai bisogni delle persone deve essere costantemente valutato”.