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Dopo gli attentati in Indonesia. Prendere coscienza del pericolo terrorismo

Giacarta, capitale dell'Indonesia | Il centro di Giacarta | Wikimedia Commons Giacarta, capitale dell'Indonesia | Il centro di Giacarta | Wikimedia Commons

"Questo attacco deve rappresentare un campanello d’allarme per tutti gli indonesiani e soprattutto per i musulmani. Devono prendere coscienza del pericolo del terrorismo". Così dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre Franz Magnis-Suseno, gesuita e docente di Filosofia all’università di Giacarta, in merito alla serie di esplosioni verificatesi questa mattina nella capitale indonesiana. "È troppo presto per identificare gli autori, ma certo è plausibile che possa essere stata opera di Isis".

Secondo il religioso, l’accaduto non è legato all’attuale situazione interreligiosa nel paese. "Questo tipo di problemi si verifica piuttosto in alcune province come ad esempio quella di Aceh". L’obbiettivo degli attentati non sarebbero dunque né la comunità cristiana – che rappresenta il 9,9% della popolazione a fronte di un 87,2% di musulmani – né altre minoranze religiose, quanto più un messaggio diretto all’Occidente, come i recenti fatti avvenuti in Turchia ed Egitto. Tuttavia, in un paese in cui non si verificava un attentato terroristico da 6 anni, il problema dell’estremismo non va sottovalutato.

Come denunciato dall’ultima edizione del Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo di Aiuto alla Chiesa che Soffre, la tradizione indonesiana di pluralismo e armonia religiosa è sempre più minacciata dall’intolleranza religiosa che cresce sotto la spinta dell’islamismo radicale. Gli attacchi contro le chiese sono in aumento, come dimostrano le recenti violenze nella provincia di Aceh. Altre comunità religiose si trovano ad affrontare crescenti vessazioni e violenze e gruppi come gli ahmadiyya e varie sette islamiche sciite, i buddisti, induisti, baha’i, confuciani, nonché gli aderenti a religioni tradizionali indigene e i progressisti musulmani sunniti, si ergono contro l’intolleranza. Un insieme di fattori spiega la crescita dell’intolleranza religiosa. Gruppi di autodifesa come il Fronte dei difensori dell’islam (FPI) commettono violenze e attaccano impunemente chiese, moschee ahmaidyyah, comunità sciite e altri gruppi e la visione che prevale è influenzata dalla propaganda islamista nelle università, nelle moschee e negli scuole islamiche. Le idee islamiste che si diffondono sono in gran parte importate dal Medio Oriente, in particolare grazie a finanziamenti per studiare in Arabia Saudita o nello Yemen, nonché il sostegno finanziario alla pubblicazione e alla distribuzione di letteratura islamista.

"Le autorità sono sicure di poter contare su un buon sistema anti-terroristico, che opera sin dal 1988", afferma padre Magnis-Suseno, ricordando tuttavia la presenza di numerosi gruppi terroristici. "Si tratta di realtà molto divise tra loro che non possono essere accomunate né far fronte comune. La maggior parte di queste condanna lo Stato Islamico, ma due gruppi in particolare sostengono seppur indirettamente il Califfato". Tali formazioni sono il Jemaah Islamiah, fondato da Abubakr al-Bashir, e l’East Indonesia Mujahidin (MIT) guidato da Santoso e attivo nella provincia di Sulawesi Centrale.

Il gesuita non ritiene la diffusione di sostenitori dello Stato Islamico un pericolo imminente in Indonesia, ma tutto dipenderà dagli sviluppi politici ed economici del paese. "Se il governo riuscirà, come sembra, a fornire aspettative concrete di un futuro migliore e a fermare la dilagante corruzione, allora i giovani indonesiani non cercheranno alternative quali l’Isis".

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