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Giovanni Paolo II, Auschwitz e la "vittoria della fede"

Il campo di sterminio di Auschwitz |  | Marco Mancini Acistampa Il campo di sterminio di Auschwitz | | Marco Mancini Acistampa

Ad Auschwitz si è dimostrata la sconfitta del mondo e la vittoria della fede. E’ il messaggio centrale dell’omelia che il 7 giugno 1979 Papa Giovanni Paolo II pronunciò nella Messa celebrata presso il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, una delle tappe dell’imminente viaggio apostolico in Polonia di Papa Francesco.

Ricordando le splendide figure di Massimiliano Kolbe e di Edith Stein, Giovanni Paolo II ricordava le loro esistenze come la “vittoria di fede e di amore, ancor più brillante, in quanto riportata in un luogo costruito per la negazione totale della fede – quella in Dio e quella nell’uomo – e per calpestare radicalmente non soltanto l’amore, ma tutti i segni della dignità umana”.

Oltre alle figure luminose di Edith Stein e Massimiliano Kobe il Papa polacco sottolineava le tante vittorie “anonime” avvenute ad Auschwitz. “Desideriamo - scandiva Giovanni Paolo II - abbracciare con il sentimento della venerazione più profonda ciascuna di quelle vittorie, ciascuna di quelle manifestazioni di umanità. Nel posto in cui orrendamente fu calpestata la dignità dell’uomo, in nome dell’odio razziale e del disprezzo, la grande vittoria finale è stata riportata dalla fede e dall’amore”.

Auschwitz è - diceva ancora il Papa - il “Golgota del mondo contemporaneo”. Il pensiero del Pontefice si rivolgeva poi in modo particolare al popolo ebraico che “ha provato su se stesso in misura particolare che cosa significa uccidere. Davanti a questa lapide non è lecito a nessuno di passare oltre con indifferenza”.

Il campo di sterminio nazista - ammoniva Papa Wojtyla - “è una testimonianza della guerra. La guerra porta con sé una sproporzionata crescita dell’odio, della distruzione, della crudeltà. E se non si può negare che essa manifesta anche nuove possibilità del coraggio umano, dell’eroismo, del patriottismo, rimane tuttavia il fatto che in essa prevale il conto delle perdite. Prevale sempre di più, perché ogni giorno cresce la capacità distruttiva delle armi inventate dalla tecnica moderna. Della guerra sono responsabili non solo quanti la procurano direttamente, ma anche coloro che non fanno tutto il possibile per impedirla”.

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Ma guardando cos’è Auschwitz - era l’auspicio conclusivo di Karol Wojtyla - può concretizzarsi il “rispetto dell’altro, della sua personalità, della sua coscienza; si concreta nel dialogo con l’altro”, nel saper ricercare e riconoscere quanto di buono e di positivo può esserci anche in chi ha idee diverse dalle nostre, anche in chi, in buona fede, sinceramente erra”.