“Il segnale che il Papa vuole dare nella sua visita di Lesbo è fin troppo chiaro per l'intero pianeta: l'emergenza migranti si affronta con ecumenismo, solidarietà, dialogo e confronto. E' il segnale di quella Chiesa in uscita, di missione, che tutti i giorni si rimbocca le maniche e lavora per migliorare le condizioni di vita degli ultimi del mondo”. Lo ha detto in una nota suor Neusa de Fatima Mariano, superiora generale della Congregazione di San Carlo Borromeo/Scalabriniane.

“La presenza del patriarca ortodosso Bartolomeo testimonia che la Chiesa di Cristo è unita. Le confessioni del mondo sanno essere confessioni di pace ed è doveroso come queste frontiere politiche siano abbattute per dare, ognuno di noi, un piccolo aiuto in uno scenario internazionale particolarmente delicato – ha aggiunto – L'ecumenismo sa essere una delle risposte concrete per i migranti. L'Europa segua l'esempio del pontefice: abbandoni il progetto di costruzioni di reti e muri e apra le proprie porte. Fuggire da una guerra è un dramma emotivo, sociale, familiare, comunitario. Fuggire da una guerra significa violentare la serenità della propria vita.

Noi a queste persone non possiamo dire 'no', ma dobbiamo dare una risposta chiara. La politica europea deve fare altrettanto, visto che dal secondo dopoguerra, con la costituzione del processo di unificazione, è stato creato uno Stato sovranazionale che, a livello internazionale, ha sempre valorizzato le politiche di rispetto dei diritti umani. Chi chiude le porte, chi omette di aiutare, chi non risolve i problemi chiude gli occhi davanti a queste migliaia di persone disperate, è un favoreggiatore e un sostenitore di violazioni dei diritti dell'individuo”. “Speriamo anche che il viaggio del Papa a Lesbo non sia strumentalizzato – ha proseguito – ma sia un segno eloquente per le nostre coscienze, una riflessione teologica e ci aiuti a non cadere mai nella tentazione di pensare che terrorismo è uguale a migrazione e per questo è giusto chiudere le frontiere”.