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Il vescovo di Assisi Sorrentino: l'indulgenza è uno squarcio di cielo

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‘Perdono di Assisi, Cammino di Chiesa’: è questo il titolo della lettera pastorale del vescovo della diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, mons. Domenico Sorrentino, in occasione dell’ottavo centenario del Perdono della Porziuncola dove, il 4 agosto, papa Francesco si recherà pellegrino.

Una lettera ai tanti pellegrini che stanno arrivando in Assisi, scritta nell’anno giubilare della misericordia, ma anche alla comunità diocesana per approfondire il senso e il significato dell’indulgenza alla luce del percorso sinodale che sta portando ad un rinnovamento profondo della chiesa locale. Ricordando il documento con cui il vescovo Teobaldo nel 1310 confermò, contro voci critiche, la fondatezza storica dell’indulgenza che Francesco aveva ottenuto da papa Onorio III,  mons. Sorrentino  ha spiegato il senso e l’attualità di questa prassi penitenziale della Chiesa: “Ho voluto ribadire alcuni concetti legati al Perdono della Porziuncola che diventa, quest’anno, più che mai, cammino di Chiesa. Come diocesi abbiamo avviato un percorso di rinnovamento che parte dalla conoscenza della Parola di Dio e arriva fino all’immagine di Chiesa in uscita, missionaria e solidale delineata da papa Francesco. La venuta del Santo Padre, seppur in forma privata, suggella questo slancio che, con il sinodo, abbiamo voluto dare alla Chiesa di Assisi”.

E proprio nella Porziuncola, scrive mons. Sorrentino, san Francesco è stato trasfigurato dalla Grazia di Dio: “E mentre il dio-denaro ha scompaginato la sua famiglia carnale, una cappella povera e disadorna accoglie e plasma la sua famiglia spirituale. ‘Non più padre Pietro di Bernardone, ma Padre nostro che sei nei cieli’: dalla spogliazione all’indulgenza della Porziuncola corre il cammino di un uomo trasfigurato. Trasfigurato per trasfigurare: dando la notizia del ‘perdono’, il 2 agosto 1216, Francesco esclamò: ‘Io vi voglio mandare tutti in Paradiso!’. La Porziuncola diveniva una porta del cielo. Aperta soprattutto per i semplici e poveri. Casa dove la presenza di Dio si percepisce come una carezza e le pietre hanno il calore di un grembo materno. Tutto vi dice semplicità, non disturbata, anzi evidenziata, dall’arte che la decora, specialmente nell’Annunciazione in cui la Vergine è tutta ascolto, plasmata dallo Spirito, pronta per l’incarnazione del Verbo di Dio”.

Nella lettera, distribuita nei santuari e in tutte le parrocchie della diocesi, il vescovo spiega cosa è l’indulgenza: “E’ parola connessa al perdono: perdono speciale, perdono sovrabbondante. Le braccia del Padre che, nella parabola evangelica di Luca 15,11-32, si stringono al collo del figlio ritrovato, il suo bacio, l’invito alla festa, ci sono offerti ogni volta che ci accostiamo al sacramento della riconciliazione. Perdono profondo e pieno. Che cosa aggiunge a tutto questo l’indulgenza? Per comprenderlo occorre riflettere sulla situazione spirituale in cui il peccato ci getta. Alcune conseguenze di esso ci affliggono persino quando esso è stato perdonato. Difficilmente infatti portiamo nella confessione una contrizione così profonda da aprire alla grazia tutte le fibre del nostro essere. Il peccato lascia in noi delle ‘scorie’ dolorose. La teologia ne parla in termini di ‘pena’. Espressione che non deve essere intesa come se si trattasse di punizione inflitta da Dio in nome di una giustizia ‘vendicativa’. Piuttosto, come spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica, si tratta di qualcosa ‘derivante dalla natura stessa del peccato’ (CCC 1472)”.

Quindi il peccato non è solo una colpa, ma è soprattutto una ‘malattia dell’anima’, a cui serve una ‘cura intensiva di misericordia’: “Così concepita, infatti, l’indulgenza espande in noi l’efficacia del perdono sacramentale, favorendo un’apertura a Dio così profonda, da disporre il nostro cuore all’incontro definitivo con Lui, quando lo vedremo così come Egli è (1Gv 3,2)… Per questo, ogni assoluzione sacramentale stimola ed esige un’ulteriore crescita spirituale, di cui è espressione la stessa ‘penitenza’ che il confessore ci dà. In vista di tale crescita Dio ci assicura il suo aiuto… Ecco la grazia dell’indulgenza! Essa non è uno ‘sconto’ sui nostri doveri: tutt’altro! E’ piuttosto una energia interiore con cui lo Spirito Santo dà nuova forza al nostro impegno, liberandoci, se lo assecondiamo, dai residui delle colpe già perdonate. Alla fatica di combattere tali residui la Chiesa si riferisce parlando di ‘pena temporale’, per distinguerla dalla ‘pena eterna’ – l’Inferno! – che il peccatore stesso, in qualche modo, si infligge quando, liberamente e definitivamente, alla maniera di Satana, si indurisce nel male e rifiuta il perdono di Dio”.

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Quindi l’indulgenza è una grazia da chiedere con la preghiera, che ci permette di fare una ‘singolare esperienza della comunione ecclesiale’, ma comporta un progetto di vita: “La misericordia si fa dono vicendevole. Si fa carico persino dei defunti, ai quali l’indulgenza può essere applicata a mo’ di suffragio, quale aiuto alla loro purificazione, secondo i misteriosi disegni di Dio… L’indulgenza fu per Francesco anche un

regalo per la gente più umile e priva di mezzi, in un tempo in cui procurarsi questo beneficio spirituale imponeva costosi e lunghi pellegrinaggi. Francesco chiese al Papa una indulgenza ‘senza obolo’. A misura dunque dei nullatenenti! Anche con la Porziuncola egli si faceva difensore e custode dei poveri”.

Il vescovo termina la lettera con una esclamazione di san Francesco, ‘Vi voglio mandare tutti in Paradiso’, in quanto la vita è l’essenza del Paradiso: “Se stiamo in grazia di Dio, siamo già, in qualche modo, in Paradiso. Ma sperimentarlo pienamente in questa vita implica una sintonia con lo Spirito Santo che, quando non è interrotta dalla colpa grave, è per lo più disturbata dalle nostre fragilità. L’indulgenza, posto il perdono sacramentale, mira a sviluppare questa sintonia… L’indulgenza è uno squarcio di cielo. E’ una risposta al bisogno di gioia del nostro cuore”.