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Jaime Ortega, il cardinale che ha accolto tre Papi compie 80 anni

Il Cardinale Ortega con il Papa |  | Eduardo Berdejo/CNA Il Cardinale Ortega con il Papa | | Eduardo Berdejo/CNA

Ha accolto ben tre Papi nel suo Paese, in quattro diverse occasioni. E' una sorta di record quello del Cardinale cubano Jaime Lucas Ortega y Alamino che oggi compie 80 anni, ed esce così dal novero dei cardinali elettori in un futuro conclave.

Il porporato cubano ha visto arrivare sull'Isola Giovanni Paolo II nel 1997, Benedetto XVI nel 2012 e Francesco nel 2015. Papa Bergoglio ha fatto scalo a Cuba nel febbraio scorso per incontrare all'aeroporto de L'Avana il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kyrill.

Nato a Jagüey Grande il 18 ottobre 1936, il Cardinale Ortega viene ordinato presbitero il 2 agosto 1964, 5 anni dopo la rivoluzione messa a segno da Castro.

Il 4 dicembre 1978 Papa Giovanni Paolo II lo nomina Vescovo di Pinar del Río e il 21 novembre 1981 lo promuove Arcivescovo di San Cristóbal de la Habana. E' stato Presidente della Conferenza Episcopale Cubana dal 1988 al 1998 e dal 2001 al 2007.

Monsignor Ortega viene creato cardinale da Giovanni Paolo II nel concistoro del 26 novembre 1994 e gli viene assegnato il titolo presbiterale dei Santi Aquila e Priscilla.

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Tra il 1995 e 1999 è secondo vicepresidente del CELAM, sotto la presidenza dell'allora Monsignor Oscar Andres Rodriguez Maradiaga.

Rinuncia per raggiunti limiti di età al governo pastorale di San Cristóbal de la Habana il 26 aprile scorso.

A fine marzo 2013 il Cardinale Ortega ha pubblicato - con l'autorizzazione del Papa - l'intervento dell'allora Cardinale Bergoglio durante le congregazioni generali in vista del conclave che di li a poco avrebbe eletto Papa proprio l'Arcivescovo di Buenos Aires.

Questo l'intervento del Cardinale Jorge Mario Bergoglio, il futuro Papa Francesco:

Si è fatto riferimento all’evangelizzazione. È la ragion d’essere della Chiesa. "La dolce e confortante gioia di evangelizzare" (Paolo VI). È lo stesso Gesù Cristo che, da dentro, ci spinge.
1) Evangelizzare implica zelo apostolico. Evangelizzare presuppone nella Chiesa la "parresìa" di uscire da se stessa. La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mi­stero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e del­l’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria.

2) Quando la Chiesa non esce da se stessa per evangelizzare diviene au­toreferenziale e allora si ammala (si pensi alla donna curva su se stessa del Vangelo). I mali che, nel trascorrere del tempo, affliggono le istitu­zioni ecclesiastiche hanno una radice nell’autoreferenzialità, in una sor­ta di narcisismo teologico. Nell’Apocalisse, Gesù dice che Lui sta sulla soglia e chiama. Evidentemente il testo si riferisce al fatto che Lui sta fuori dalla porta e bussa per en­trare... Però a volte penso che Gesù bussi da dentro, perché lo lasciamo uscire. La Chiesa autoreferenziale pretende di tenere Gesù Cristo dentro di sé e non lo lascia uscire.

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3) La Chiesa, quando è autoreferenziale, senza rendersene conto, crede di avere luce propria; smette di essere il "mysterium lunae" e dà luogo a quel male così grave che è la mondanità spirituale (secondo De Lubac, il male peggiore in cui può incorrere la Chiesa): quel vivere per darsi glo­ria gli uni con gli altri. Semplificando, ci sono due immagini di Chiesa: la Chiesa evangeliz­zatrice che esce da se stessa; quella del "Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans" o la Chiesa mondana che vi­ve in sé, da sé, per sé. Questo deve illuminare i possibili cambiamenti e riforme da realizzare per la salvezza delle anime.

4) Pensando al prossimo Papa: un uomo che, attraverso la contempla­zione di Gesù Cristo e l’adorazione di Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso le periferie esistenziali, che la aiuti a essere la madre feconda che vive "della dolce e confortante gioia dell’evangelizzare".