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La fede nella vita pubblica? Si trova soprattutto ad Est

Eduard Habsburg-Lothringen | Eduard Habsburg-Lothringen, ambasciatore di Ungheria presso la Santa Sede | CC Eduard Habsburg-Lothringen | Eduard Habsburg-Lothringen, ambasciatore di Ungheria presso la Santa Sede | CC

L’Europa delle libertà, dove pure la religione è messa da parte nella vita pubblica. E l’Europa dell’Est, che ha vissuto la pioggia acida del comunismo, dove invece la religione ha ancora il suo ruolo nella vita pubblica. Il paradosso europeo è stato descritto da Eduard Habsburg-Lothringen, ambasciatore di Ungheria presso la Santa Sede, in un discorso tenuto il 17 febbraio al secondo incontro del Ciclo “Religioni e diplomazia” promosso dall’Associazione Carità Politica.

“Il nostro continente, che ha goduto per due generazioni dell’assenza di guerre e di un benessere economico, sembra adesso voler liberarsi dalle catene spiacevoli del suo passato ‘costantiniano”, sottolinea l’ambasciatore. Perché – questo è il ragionamento – “solamente rimuovendo la religione dalla vita pubblica, tutto sarà a posto e l’uomo potrà, finalmente, promuovere il vero bene comune”.

Invece, “nei miei colloqui con personaggi e colleghi dei cosiddetti ‘Paesi dell’Est’ (un termine del passato, adesso riesumato all’improvviso), ho riscontrato un approccio molto più permissivo per quanto riguarda la presenza della religione nella sfera pubblica”. Un approccio che “senza mai abbandonare il principio fondamentale della società democratica, della separazione tra Stato e Chiesa, in questi Paesi mi sembra di sentire più spesso utilizzare la parola ‘Dio’ nella vita pubblica”.

Insomma, “religione e famiglia e altri valori che per oltre 1500 anni hanno caratterizzato l’Europa” sembrano essere più presenti all’Est, mentre all’Ovest vengono quasi rifiutati. L’ambasciatore Habsburg cita un commentatore dello Spiegel, che addirittura riteneva un errore ammettere i Paesi dell’Est al progetto dell’Europa unita, vista “la presenza, a suo avviso troppo grande, della religione nella vita quotidiana”.

È un tema che forse va sviluppato ulteriormente. Al Sinodo dei vescovi, sono state le “periferie” dell’Est Europa quelle più determinate a difendere la vita e la famiglia da nuovi sviluppi dottrinali. Nel frattempo, in Polonia, Slovenia, Slovacchia, Romania, proposte di legge per cambiare l'istituto famigliare (introducendo unioni civili o matrimonio omosessuale) sono state respinte dal pervicace impegno della cittadinanza, che ha promosso referendum e chiesto il cambiamento delle leggi. C’è, di certo, un sostrato cristiano dietro questo impegno. Ma questo sostrato porta anche alla consapevolezza che la religione non può essere buttata fuori dalla vita pubblica, come ha fatto il comunismo per oltre 50 anni.

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Eppure, la cosiddetta Europa dei nuovi diritti non ha mancato di mettere alla berlina quanti hanno accettato la presenza della religione nella vita pubblica. E’ successo con Viktor Orban, il premier ungherese, che – forte di una maggioranza amplissima conquistata alle urne – ha modificato la costituzione ungherese. Una costituzione laica, eppure profondamente permeata di valori cristiani.

“L’Ungheria – racconta l’ambasciatore – sente il dovere della solidarietà con le comunità cristiane perseguitate nel mondo, in questi tempi in modo speciale con quelle del Medio Oriente” E per questo “il governo ungherese è convinto perciò di dover dare il proprio, seppur limitato, contributo – politico e fattivo – al ristabilimento delle condizioni di vita umanamente degne in questi Paesi”.

E lo fa “con mezzi militari (siamo presenti con una missione in Iraq) e tramite assistenza umanitaria e aiuti allo sviluppo”.

Conclude l’ambasciatore: non tutti i Paesi devono percorrere la stessa strada, perché “storie e curricula nazionali” sono diversi e anche le sensibilità attuali lo sono. Ma “l’esperienza e la situazione attuale ci fanno comprendere l’importanza del dialogo con una realtà che il dialogo religioso ed interreligioso lo pratica da secoli, vale a dire la Santa Sede, della quale ultimamente vediamo rafforzata la presenza nel campo della mediazione internazionale”.