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La libertà in tre pillole. Dalla diocesi di Faenza

Faenza | Faenza, piazza del Popolo | Wikimedia Commons Faenza | Faenza, piazza del Popolo | Wikimedia Commons

Il passaggio da una democrazia a bassa intensità ad una democrazia ad alta intensità. La necessità di un impegno sociale. La consapevolezza di vivere in un mondo in cui l’esercizio della libertà è reso ancora più difficile dalla presenza delle “multinazionali della morte”. Sono tre pillole che provengono dal convegno “Per la libertà… insieme”, organizzato dall’1 al 3 aprile nella diocesi di Faenza dal vescovo Mario Toso, già Segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.

Esperto di dottrina sociale e studioso dei temi della democrazia, il vescovo Toso ha dato il tono del dibattito con una introduzione tutta basata sul tema della democrazia. L’amara constatazione è che viviamo ormai in una democrazia a bassa intensità. Ma l’obiettivo è quello di trasformarla in una democrazia ad alta intensità, con maggiore partecipazione politica, maggiore consapevolezza, maggiore presenza delle persone. È questo il senso della convocazione, spiega il vescovo Toso. “Non si tratta – dice - di «riappropriarsi» della democrazia, così come oggi si presenta, ossia in preda a una crisi caratterizzata, un po’ ovunque, da populismi, oligarchismi e paternalismi. Si tratta, invece, di recuperare il suo progetto originario, maturato nel tempo, attraverso riforme profonde dell’istituzione statale e delle sue regole procedurali”.

La democrazia a bassa intensità è la democrazia che ha in qualche modo abbandonato la sua presa sulla società. Una democrazia dominata dal mercato, dalla finanza che ormai va oltre gli Stati e decide in pratica dei destini delle nazioni. Da tempo, i testi di Dottrina Sociale della Chiesa sottolineano l’importanza della democrazia, ma soprattutto di abitare la democrazia. La grande città di Dio può essere costruita solo a partire da una presenza costante nei gangli della società.

È stato il senso del lavoro del vescovo Toso a Giustizia e Pace, con i documenti e le proposte – come quella per una “Riforma del Sistema Finanziario” e la ripresa dell’idea di una “autorità mondiale con competenze universali” – che hanno caratterizzato il dibattito sulla Dottrina Sociale della Chiesa. Con Papa Francesco, il suo orgoglio nazionale e il suo principio democratico (che il vescovo Toso ha analizzato introducendo il volume ‘Noi come cittadini, noi come popolo’), questo lavoro continua ad avere la sua centralità.

Se nella democrazia a bassa intensità ci sono alti tassi di povertà, un deficit di politica, una crescente separazione tra vita e società civile, la transizione verso la politica ad alta intensità deve fare i conti con una crescente mediatizzazione che porta anche le forze in campo a giocare sugli eccessi. Eppure, la democrazia ad alta intensità sembra essere l’unico obiettivo possibile per quanti davvero vogliono mettere in pratica la Dottrina Sociale della Chiesa. Perché il suo primo punto è quello di creare una società davvero inclusiva.

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Può davvero succedere? Dal canto suo, la Santa Sede ha lavorato a lungo perché anche gli stessi consessi internazionali includessero gli Stati più piccoli. Le grandi riunioni, i G8, G20, sono sempre stati considerati poco più di un club di amici, non adatti a decidere le sorti del mondo. In un mondo sempre più dominato da enti non statali con un grande potere economico, la libertà passa anche per la conoscenza delle forze in gioco, in modo da spezzare un circolo di soldi che va oltre governi, nazioni e popoli.

In questo senso, la relazione di Renato Cursi sulle “multinazionali della morte” scatta una fotografia impietosa di come ormai le grandi organizzazioni economiche vadano oltre gli Stati, e possano addirittura muovere guerra agli Stati. Spiega Cursi: “Attualmente, nel pur caotico contesto internazionale, spetta a ciascuno Stato assicurare la difesa del proprio territorio. Perciò la limitazione dei trasferimenti d’armi è inseparabile da un problema più vasto: come garantire in un altro modo la sicurezza necessaria alla pace? Affinché tutti possano godere del bene comune della pace, la Santa Sede ha riconosciuto da lungo tempo la necessità di poteri pubblici aventi competenza mondiale istituiti “di comune accordo e non imposti con la forza”.

Di fronte alle multinazionali della morte, si conferma la necessità di una autorità mondiale che possa decidere dell’uso della forza. Non è recente la proposta del Cardinal Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, di creare un ufficio internazionale per rendere più umana una guerra. E sempre sotto la Segreteria di Stato del cardinal Parolin si è sviluppato il principio del “dovere di proteggere” che da tempo è parte della Dottrina Sociale della Chiesa. La difesa della libertà passa anche dalla presenza nei contesti internazionali, e la Santa Sede è attivissima in questo campo.

Serve, però, una generazione giovane, nuova, impegnata, in grado di difendere questa liberà. È il senso dell’impegno, come lo ha sviluppato il vescovo Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, nel suo intervento.

Partendo dal personalismo di Emmanuel Mounier, il vescovo Galantino parla dell’impegno come di una vocazione data da Dio all’essere umano. “Impegnarsi – dice - significa dunque partecipare e dialogare, allenarsi al rispetto e accogliere come un’opportunità di crescita la diversità dell’altro. La nostra società ha bisogno di persone, e soprattutto di giovani, che non si chiudano in se stessi, ma accettino il confronto e il lavoro comune, che si interessino dei problemi sociali e portino in essi il loro sguardo meno condizionato e realisticamente entusiasta. Un mondo a esclusiva trazione dei più anziani difficilmente sarà capace di futuro; lo diventa solo se i più giovani vengono messi in condizione di offrire il loro contributo, accettando la fatica e gli insuccessi”.