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La reazione di Pietro è la nostra. XXII Domenica del Tempo Ordinario

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Il brano di Vangelo di oggi è particolarmente difficile. Appare, dunque, quanto mai appropriata, la richiesta che la Chiesa rivolge al Signore nella preghiera inziale della Messa: Suscita in noi l’amore per te e ravviva la nostra fede.

Domenica scorsa abbiamo meditato il testo evangelico nel quale Pietro riconosce Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio. Ora Gesù, sorprendentemente, inizia a parlare apertamente delle sofferenze e della morte che dovrà subire da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, cioè della classe dirigente del popolo ebraico. Pietro protesta perché il discorso di Gesù appare un controsenso. Infatti, quale collegamento può esistere tra colui che è il compimento delle promesse di Dio, che è il Figlio del Dio della Vita e la sofferenza e la morte?

La reazione di Gesù nei confronti dell’opposizione di Pietro è durissima. L’apostolo è accusato d’essere il tentatore per Gesù. Il motivo è dato dal fatto che opporsi alla passione significa pretendere di volere portare Cristo al di fuori del progetto di Dio e quindi entrare in contrasto con la sua opera di salvezza. La protesta di Pietro, è vero, è fatta con discrezione: Lo trasse in disparte, e nasce dal suo amore per Gesù: Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai. Tuttavia, Gesù non si lascia condizionare e senza tentennamenti risponde: Lungi da me, Satana. Pietro, come già aveva fatto il diavolo, cerca di convincere il Signore a rifiutare la croce per scegliere la strada facile del miracolo, del successo, dell’applauso, del potere che sono l’aspirazione di ogni persona. La reazione di Pietro è la nostra perché tutti facciamo una grande fatica a ritrovarci nella crocifissione del Signore, in quanto per tutti è più facile desiderare e credere in un Cristo subito glorioso e potente.

Pietro ragiona secondo una logica umana e non secondo Dio. La tentazione di ridurre la Fede a criteri umani e di rifiutare che “Dio sia Dio” per abbassarlo al nostro modo di pensare, è ricorrente nella vita di un cedente. Ma in questo modo ci si costruisce un Dio a propria immagine e somiglianza, inventato da noi e per noi e che in breve tempo stanca e delude e conseguentemente viene rifiutato. Credere, invece, significa entrare in una logica diversa da quella degli uomini, quella di Dio per accogliere una croce che è via per la vita.

Gesù nel Vangelo prosegue dicendo che la passione e la morte devono essere non solo professate o accettate per Lui, ma anche accolte nella nostra vita. Infatti essere discepoli di Cristo significa andargli dietro, partecipare agli eventi della sua vita, assumere la sua logica e il suo modo di vedere. Certo una persona può guadagnare anche il mondo intero e giungere al possesso di immense ricchezze, ma si tratta di beni che non sono in grado di salvare dalla morte. Per questa ragione il cristiano dice no al peccato e a tutto ciò che si oppone al Signore per condurre un’esistenza che si svolga secondo la prospettiva di Dio e quindi dell’amore. In questa scelta non c’è nessun disprezzo dell’uomo, ma la volontà di vivere entro l’orizzonte della volontà dl Padre. Allora la vita è salvata.

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Questa scelta di vita deve avere una motivazione assolutamente precisa: Gesù Cristo. Infatti il dolore o la fatica in se stessi non sono meritevoli di resurrezione e di vita. Anche le imprese del male comportano fatica e laboriosità. Inoltre dobbiamo riconoscere con onestà che coltivare i nostri vizi comporta sacrifici enormi.

Commenta San Giovanni Crisostomo: Può avvenire che uno soffra, ma non segua Cristo, quando soffre per se stesso. I ladri sopportano molte e gravi sofferenze: ma non credere che questa sofferenza abbia valore. Nella tua passione è lui che devi seguire, per lui devi sopportare ogni cosa. Quello che importa, allora, è la ragione: “per causa mia”, dice Gesù.