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La santità di Tommaso d'Aquino raccontata da un teologo contemporaneo

Tommaso d'Aquino |  | circolosantommaso.it Tommaso d'Aquino | | circolosantommaso.it

Che Tommaso d’Aquino sia stato uno dei più grandi santi e teologi del XVIII secolo non vi è alcuna ombra di dubbio, e, tuttavia, proporne una lettura in chiave moderna – in un contesto ecclesiale che oggi appare teologicamente fragile e claudicante –, per alcuni potrebbe sembrare azzardato, per altri la scelta più saggia, per altri ancora un vero e proprio rischio: quello di essere ingiustamente etichettati come obsoleti oppositori dell’intellighentia teologica contemporanea, lontani dalla realtà e dalle nuove esigenze dettate dall’uomo moderno!

A raccogliere la sfida di questo attualissimo dubbio ci ha pensato Antonio Maria Sicari – stimato teologo carmelitano, autore di oltre un centinaio di profili di santità – che ha voluto inserire nella sua ultima raccolta di “Ritratti di Santi” il profilo di santità del Doctor Angelicus, con l’intento di delineare il ritratto «di un Santo Dottore che ebbe la vocazione e la missione di difendere non l’uno o l’altro dogma della fede cristiana, ma lo stesso cristianesimo: quello che esige, innanzitutto, che ci sia davvero una “realtà” da salvare, e un Creatore che ami e difenda la sua creazione».

A differenza di altri santi – che hanno magari dedicato tutta l’esistenza alle opere di carità, all’amore verso gli altri, alla cura dei giovani ecc. – in Tommaso d’Aquino (1225-1274) è possibile riconoscere una specifica e particolarissima “santità dell’intelligenza”, donata da Dio per imparare a riconoscere, amare e annunciare la Verità del mistero cristiano. Ma in passato, come oggi, c’è chi ha preferito disprezzare il dono dell’intelligenza credendo di offrire a Dio miglior lode, oppure adattandosi a situazioni nuove e prevedendo persino la possibilità di modificare il proprio orientamento spirituale. «E forse – scrive Antonio Sicari – Tommaso prevedeva la rovina di tempi lontani (i nostri) in cui “parlare d’amore” sarebbe diventato il metodo comune per irridere ogni verità e far passare ogni aggressione al Creatore. Per questo il santo domenicano insisteva a parlare anzitutto di “amore della verità”: quella Verità che è Dio stesso, il quale ha voluto disseminare il suo “vero bene” nell’intera creazione, per indicarci la strada che conduce a Lui».

Sarebbe un grave errore considerare, oggi, la riflessione teologica prodotta da san Tommaso d’Aquino sorpassata e fuori moda, lasciando al primato laicista il privilegio di scrivere nuove pagine di pseudo-verità, gradite dai sostenitori del “va’ dove ti porta il cuore”. «È, infatti, questo – precisa Sicari – il dramma attuale in cui è avvolta e coinvolta l’intera umanità: il fatto che a ognuno sia concesso di credere quello che vuole, purché resti indiscutibile per tutti il “fondamento laicista”, cioè che non esiste natura, né creazione, né creatore, ma solo l’uomo con il suo illimitato diritto a sperimentare e a fare esperienze».

Il teologo carmelitano esplicita – tra le pagine del Ritratto dedicato all’illustre Aquinate – la motivazione principale che lo ha spinto a scrivere su san Tommaso d’Aquino, «il fatto – dice – che viviamo in un’epoca in cui “ad essere aggredito è Dio Creatore”», ritenendo sconvolgente – prosegue – «che si sia giunti a questo in nome di un preteso diritto dell’uomo all’amore che dovrebbe “vincere” comunque e sempre, infrangendo ogni vincolo e ogni limite, separando ciò che il Creatore ha unito e unendo ciò che il Creatore ha separato. Il progetto è dunque quello di negare l’originale “significato sponsale del Corpo”, non solo disprezzando il “soprannaturale”, ma distruggendo perfino il “naturale”».

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Se il progetto è dunque quello di negare l’originale “significato sponsale del Corpo”, disprezzando il “soprannaturale” e distruggendo perfino il “naturale”, Tommaso d’Aquino è la figura di santità che bisogna ritornare a studiare. «Senza verità – afferma Papa Benedetto XVI nell’Enciclica “Caritas in veritate” –, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso diventa preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario».

Dunque non sarà nemmeno un caso che – secondo quanto narrano i primi biografi del Doctor Angelicus –, Gesù, visto il diletto figlio inginocchiato ai piedi del Crocifisso, in un mistico colloquio gli abbia sussurrato: «Tommaso, tu hai scritto bene di me. Che ricompensa vuoi?», e lui rispose: «Nient’altro che te, Signore».