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Macerata: Monsignor Marconi invita ad annunciare dai tetti

Monsignor Marconi |  | Diocesi di Macerata Monsignor Marconi | | Diocesi di Macerata

“Annunciatelo dai tetti! (Mt 10,27) è un comando di Gesù e sgorga dal Suo desiderio di diffondere nel mondo la Sua Paro­la, la Sua esperienza del vero Dio, che è Padre misericordioso. Annunciatelo dai tetti: che Dio ci ama, che Dio è presente ed attivo nel mondo. Che Dio non lascia cadere neppure un pas­serotto e quindi con quanta maggior tenerezza ha cura di ogni uomo. All’uomo indifferente, oppure travolto dal caos della vita, Gesù annuncia il volto di un Dio che cammina con noi, que­sto è il messaggio da Evangelizzare, il contenuto fondamenta­le della Catechesi cristiana.

Eppure questa passione di Gesù non ci contagia, anzi spesso ci vergogniamo di essere cristiani, precisiamo di credere, sì, ma con molte parentesi, con molte obiezioni, per non sfigurare davanti alla “modernità”. Dubitiamo della nostra fede, crediamo di dover quasi scusarci per credere: che le nostre ragioni vacillino davanti alle ragioni del mondo. E’ urgente approfondire le ragioni della fede, liberarle dalla pol­vere dell’abitudine e del tradizionalismo, per riscoprire il volto umano e compassionevole, attraente e ragionevole del Dio di Gesù Cristo.

"Noi per primi abbiamo bisogno di una rinnovata Evangelizzazione e Catechesi”: con queste parole il vescovo della diocesi di Macerata, mons. Nazzareno Marconi, ha presentato la nuova lettera pastorale, che mira al rinnovamento missionario di evangelizzazione e catechesi. Nella lettera il vescovo ha chiesto ai fedeli di ‘uscire’ ed andare nella città ad annunciare la Parola della Salvezza: “Non solo dentro le Chiese e nelle aule di Catechismo, non solo ad un gregge fedele ed amico, ma sempre più piccolo. Annunciamolo nelle piazze, sui social, a scuola, nel posto di lavoro... La fede è stata a volte nascosta nelle sacrestie, senza avere il coraggio di contagiare tutta la vita. Questo è il dramma della fede oggi. Quello di restare timidamente rintanata negli angusti spazi dello spirito e del privato. Dio è stato cacciato come inutile o almeno non interessante: dalla nostra economia, dalle nostre scelte, dalle nostre famiglie, dalla nostra cultura. Ci ricordiamo di Lui solo nel tempo e nel tempio sacro.

Come stupirci che molti uomini guardino con sospetto o indifferenza al Vangelo, quasi fosse una rinuncia alla pienezza di vita e di umanità? Annunciamolo dai tetti questo Vangelo, facciamocene carico, camminiamo insieme a chi prende sul serio e si lascia contagiare dalla passione del Signore Gesù di annunciare la Buona Notizia dell’amore del Padre”.

Nella lettera il vescovo ha delineato alcuni ‘piccoli passi possibili’ da compiere nel corso dell’anno pastorale delle ‘nuove’ Unità Pastorali, specialmente con i giovani: “Tutta la Diocesi si impegni a favorire il coinvolgimento dei giovani nella azione caritativa. E’ saggio partire dall’Accogliere, Accompagnare, Discernere ed Integrare la realtà esistente di un numeroso e diversificato volontariato, già attivo tra noi. In esso sono spesso presenti dei giovani generosi, anche se non dichiaratamente credenti, mentre nelle nostre Caritas si trovano per lo più bravissimi pensionati. Personalmente ho sperimentato che fare esperienza concreta di Carità, fin da giovanissimi, è una occasione preziosa per crescere nella fede e per sviluppare quella sensibilità sociale, che è condizione iniziale indispensabile per ogni vera formazione politica”. In questo senso il vescovo ha sottolineato che la Chiesa non esclude nessuno: “Nella barca della Chiesa, come in ogni barca, si sale da due lati. C’è chi sale dal lato dell’amore di Dio e chi da quello dell’amore del prossimo.

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L’anno della Evangelizzazione e Catechesi che ci sta davanti, che prepara al Sinodo dei Giovani, sia vissuto accogliendo con serenità e larghezza di vedute i giovani nella Caritas in ogni Unità Pastorale, facendo conoscere loro tutto il bene che possono fare per chi è nel bisogno, incoraggiando la loro crescita nel sentirsi responsabili del bene comune, raggiungendoli con una positiva e serena proposta di fede”. Ed a proposito del prossimo Sinodo dei giovani ha affermato che la comunicazione della fede ad essi deve essere accompagnato dal discernimento vocazionale: “Il cammino di tutta la Chiesa verso il Sinodo dei giovani, unendo il tema della comunicazione della fede ai giovani con quello del discernimento vocazionale si inserisce perfettamente in questo percorso che la mia lettera già indicava nel 2015, partendo dalla convinzione che l’educazione alla fede è educazione al senso della vita compresa come un dono di Dio ed un talento da impegnare per il bene comune, sia nel matrimonio che nella vita consacrata e di cui dobbiamo rendere conto. Dicevo infatti: su questa linea di educare la vocazione all’amore ed alla responsabilità della famiglia si deve innestare la pastorale per le vocazioni di particolare consacrazione”.

In questa direzione il vescovo ha mostrato attenzione anche alla realtà dei social per comunicare la fede: “L’attenzione ai giovani, che nel mondo di oggi vivono totalmente immersi nella realtà dei media e dei social, ci chiede capacità di innovazione e disponibilità ad imparare nuovi linguaggi, per evangelizzare attraverso questi nuovi mezzi di comunicazione. I giovani soggetti ed oggetto della gran parte della comunicazione multimediale sono oggi i nostri maestri, loro i ‘nativi digitali’, ci potranno insegnare a tradurre il Vangelo in forme e modi che la moderna comunicazione possa recepire e diffondere”. E per essere al ‘passo con i tempi’ ha annunciato il rinnovamento della comunicazione della diocesi di Macerata: “La riflessione e l’impegno comune deve così sostenere il già avviato rinnovamento dei mezzi di comunicazione diocesani, privilegiando in ogni modo il coinvolgimento dei giovani. Sta a loro diventare non solo fruitori, ma soprattutto produttori di una nuova evangelizzazione attraverso i Media”. Nel terzo punto il vescovo ha affrontato il nesso tra fede e ragione per rendere la carità più operativa: “Poiché la nostra fede cattolica privilegia il rapporto stretto tra fede e ragione, la carità va pensata e progettata secondo ragione, ma va lasciato anche spazio alla libertà dello Spirito, che è sempre piuttosto allergico alla ‘burocrazia’ e segue le ragioni del cuore.

Trovare un equilibrio concreto tra una Caritas ‘industriale e professionalizzata’ che va evitata, ed un fare il bene in maniera improvvisata, emotiva e confusa da ‘Armata Brancaleone’che è altrettanto da evitare, non è semplice, ma è necessario”. Infine, ricordando il discorso di papa Benedetto XVI nel 2006 a Monaco di Baviera e quello di papa Francesco nel 2014, mons. Marconi ha riproposto la riscoperta del ‘timor di Dio’: “La tolleranza di cui abbiamo urgente bisogno comprende il ‘Timor di Dio’, il rispetto di ciò che per altri è cosa sacra… Ma ciò presuppone che noi stessi impariamo nuovamente il Timor di Dio. Questo senso di rispetto può essere rigenerato nel mondo occidentale soltanto se cresce di nuovo la fede in Dio, se Dio sarà di nuovo presente per noi ed in noi… Questo deve essere il cuore della trasmissione della fede da cui partire ed a cui fare costante riferimento. Gesti religiosi ed usanze anche buone, ma vissute senza questa fede, non salvano”.

In ultimo ha presentato il nuovo ‘stemma’ della diocesi: “E’ su campo azzurro perché il motto è ‘Sub tuum praesidium’ (Sotto la tua protezione), perché la Mater Misericordiae è la patrona della diocesi, e di conseguenza il colore della nostra diocesi è l’azzurro. Al centro c’è una spada, rivolta verso il basso perché simbolicamente non è la spada impugnata per attaccare, ma è la spada deposta, una spada a due tagli, come la Parola di Dio, ma è anche la spada di san Giuliano, che il nostro patrono ha deposto perché ha smesso di fare il cacciatore e il soldato per diventare l’ospitaliere e il traghettatore che aiuta i poveri. In alto c’è il monogramma ‘IHS, Iesus Hominum Salvator’ (Gesù salvatore dell’uomo), ma è anche lo stemma che si accompagna sempre ai Gesuiti, con sotto i tre chiodi della Passione ed è lo stemma che ci ricorda padre Matteo Ricci, segno del passato e del futuro della nostra terra. In fondo c’è la stella a 8 punte che simboleggia Cristo, sole di giustizia e salvatore; Cristo che è la nostra speranza, verso cui camminiamo”.