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Pace, rifugiati, traffico di esseri umani: la rete diplomatica della Santa Sede

ONU di Ginevra | La sede delle Nazioni Unite a Ginevra  | Wikimedia Commons ONU di Ginevra | La sede delle Nazioni Unite a Ginevra | Wikimedia Commons

Da New York a Ginevra, passando per Vienna: l’impegno diplomatico della Santa Sede passa anche attraverso gli interventi degli Osservatori Permanenti presso le organizzazioni internazionali, che in quest’ultimo mese si sono sempre più focalizzati su alcuni temi chiave: le politiche di pace; il traffico di esseri umani; il dramma dei rifugiati con annessa crisi di Aleppo.

Sono temi, beninteso, che restano al cuore della diplomazia della Santa Sede. Ma l’ultimo mese ha fornito, nell’ambito dei dibattiti presso le Nazioni Unite, il terreno ideale per reiterare appelli ed impegno, con una serie di interventi che sembrano inserirsi in una strategia di globale. Se il peso degli Osservatori può sembrare piccolo all’interno del consesso internazionale, è anche vero che, con il loro lavoro, aiutano i membri delle Nazioni Unite ad accrescere consapevolezza. È un lavoro sulle coscienze.

Presso le Nazioni Unite di New York c’è l’arcivescovo Bernardito Auza. Ed è suo l’ultimo intervento in ordine di tempo sui temi della pace. L’occasione è l’incontro del comitato che si occupa del punto 51 dell’Agenda di Sviluppo Sostenibile 2030, riunitosi il 26 ottobre. Il tema è come rivedere l’intera questione delle operazioni di pace. L’arcivescovo Auza ha lodato ancora una volta le Nazioni Unite per il loro ruolo nelle operazioni di pace e messo in luce l’importanza di difendere i civili. E proprio per questo ha puntato il dito contro “il deliberato fare bersaglio” di civili in attacchi “indiscriminati” che stanno “tristemente diventando una routine nei conflitti armati”, con una particolare menzione agli attacchi a scuole e ospedale. Attacchi che la Santa Sede “condanna con forza”, ricordando che la “responsabilità di proteggere” è il cuore del mandato delle Nazioni Unite. Ancora una volta, la Santa Sede chiede di limitare la produzione di armi, con l’utopia di un disarmo integrale, da sempre parte della Dottrina Sociale della Chiesa.

A Vienna ha sede l’OSCE, ovvero l’Organizzazione Europea per la Sicurezza e la Cooperazione. La Santa Sede partecipò alla sua costituzione, e ne è Stato membro, con una missione permanente guidata da monsignor Janusz Urbanczyk. Il 21 ottobre si è parlato di “Sfruttamento lavorativo” in varie forme, e si sa – anche dai recenti lavori del Santa Marta Group – quanto il traffico di esseri umani sia il cuore della diplomazia di Papa Francesco. Sul tema, mons. Urbanczyk ha sottolineato come “le vittime del traffico di esseri umani e sfruttamento lavorativo” sono soprattutto “rifugiati, richiedenti asilo, migranti, minori non accompagnati”. Persone vulnerabili, che vengono prese non solo per i lavori più umili, ma che sempre più spesso cadono dello sfruttamento della criminalità organizzata – prostituzione, pedofilia, spaccio di droga, furti. La Santa Sede nota che si deve affrontare il problema di “un mercato globale, regionale e nazionale che permetta alle aziende di svilupparsi fuori dalla legge e ignorando i requisiti della legge per lavoratori e consumatori”.

Se rifugiati e richiedenti asilo sono il principale bacino di provenienza di quanti sfruttano i lavoratori, quanto è ampia la crisi dei rifugiati? A Ginevra, lo scorso 4 ottobre, si è riunito il Comitato Esecutivo dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati, e nell’occasione l’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di Ginevra, ha fornito una serie di cifre, preoccupanti per il loro ammontare. L’Osservatore parla “dei più grandi livelli di sfollamento mai registrati”, con “63,5 milioni di persone che sono state forzatamente costrette a lasciare i loro luoghi di origine”, e di questi 21,3 milioni sono “sotto i 18 anni”. Ragazzi che sono “frequentemente vittime delle moderne forme di schiavitù, incluso il traffico di esseri umani”, e che non hanno nemmeno accesso all’educazione. In più – aggiunge l’arcivescovo Jurkovic – “ci sono anche circa 10 milioni di apolidi cui è stata negata una nazionalità e quindi l’accesso ai diritti fondamentali”.

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L’arcivescovo Jurkovic ha denunciato che in molte nazioni “i rifugiati non hanno il permesso di lavorare, e i loro movimenti sono limitati ai dintorni dei campi, che spesso sono in zone molto periferiche”, e questo fa dei rifugiati persone dipendenti per quanto riguarda il cibo, che non sempre è adeguato, tanto che la malnutrizione è uno dei grandi problemi dei campi profughi. E la malnutrizione “avviene anche in campi che per anni sono stati amministrati dalle Nazioni Unite” e per questo la Santa Sede sottolinea che “si potrebbe fare la differenza semplicemente garantendo tutti i diritti dei rifugiati, con investimenti finanziari ed economici ma soprattutto con volontà politica”, in modo da far diventare i rifugiati “agenti di sviluppo”, e non solo ospiti “appena tollerati”.

L’arcivescovo Jurkovic nota anche l’impegno del Papa, che si è arrogato ad tempus la responsabilità dei migranti nel nuovo dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale.

Al di là dei grandi proclami, c’è poi la preoccupazione per le situazioni particolari. La Santa Sede segue con attenzione tutte le zone di guerra, molte volte negli interventi degli Osservatori si trova l’accenno anche ai conflitti dimenticati - come quelli in Africa – e il Papa, incontrando il 27 ottobre i presuli del Sud Sudan, ha confermato questo impegno. I riflettori delle Nazioni Unite sono però su Aleppo, e se ne è parlato a Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra lo scorso 21 ottobre.

In quell’occasione, l’arcivescovo Jurkovic ha notato che “la complessità politica, sociale ed economica che resta sullo sfondo della situazione in Siria, che riguarda anche la stabilità del Medio Oriente e oltre, non deve essere una barriera che impedisce alla comunità internazionale di affrontare il bisogno sempre più urgente di trovare una soluzione attraverso il dialogo diplomatico”.

“Il Conflitto in corso – ha sottolineato l’Osservatore – ha prodotto solo una situazione umanitaria disastrosa, lasciando molti senza i diritti basici di acqua, cibo e medicine”. Insomma, la situazione umanitaria di Aleppo è “tra i molti esempi in cui la situazione è disperata”, e per questo ci vuole prima di tutto “un immediato cessate il fuoco” che permetta “assistenza umanitaria attraverso corridoi di sicurezza” ma anche ai “negoziati formali e informali” di avere luogo.

 

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