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Padre Mourad: “Per l’autoproclamato Stato Islamico, noi siamo una eresia”

Padre Jacques Mourad | Padre Jacques Mourad, monaco del monastero di Mar Mousa, in una delle conferenze stampa che ha tenuto in Europa dopo essere fuggito dalla prigionia | Screenshot TV2000 Padre Jacques Mourad | Padre Jacques Mourad, monaco del monastero di Mar Mousa, in una delle conferenze stampa che ha tenuto in Europa dopo essere fuggito dalla prigionia | Screenshot TV2000

Nella presentazione del rapporto sulla libertà religiosa di Aiuto Alla Chiesa che Soffre, padre Jacques Mourad ha scritto anche dei suoi giorni di prigionia nelle mani dello Stato Islamico. Una profonda esperienza che lo ha anche aiutato a riflettere sul valore della conversione. Con ACI Stampa, il rettore del monastero ormai distrutto di Mar Elian racconta invece della situazione in Siria, del perché del suo rapimento. E sottolinea che la situazione in Siria non si risolverà così presto.

Quale è la situazione in Siria, nella zona del monastero Mar Elian?

Niente è cambiato. Tutto è abbandonato. C’è una piccola comunità di musulmani che forse restano lì perché forse non hanno altri posti dove vivere. Ma più parti della città sono state distrutte.

Il monastero distrutto, eppure le reliquie di Mar Elian incredibilmente ritrovate. Che segno è stato questo per lei?

Mar Elian è un eremita del IV secolo, e pensavamo le sue reliquie fossero perdute con la distruzione del monastero. Invece ritrovarle è stata per noi una grande consolazione, un grande segno di speranza per l’avvenire. Ora le reliquie sono ad Homs, nella nostra diocesi siro-cattolica. Ma non vediamo l’ora di rimettere le ossa al loro posto, nella tomba, e ritornare a pregare intorno a queste reliquie.

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Perché crede che l’autoproclamato Stato Islamico attacchi i monasteri?

Perché per i musulmani dell’ISIS, le tombe, le reliquie, i santi sono una eresia. Non possono accettare che nelle loro città ci sia un posto che custodisca le reliquie dei santi, o le tombe dei morti, perché per loro quando una persona muore non c’è bisogno di una tomba, la persona è finita su questa terra. Così, quando l’ISIS ha preso la regione, ha attaccato tra le prime cose proprio la tomba di Mar Elian. Hanno mirato a distruggere solo l’antico monastero, la parte archeologica. E poi hanno distrutto tutte le tombe di musulmani e cristiani.

Invece perché hanno catturato proprio lei, tra tanti?

Credo abbiano voluto mandare un messaggio ai cristiani della Regione, dicendo loro che non sono accetti nel Paese. Hanno voluto spingere i cristiani ad andare.

Cosa le resta dell’esperienza della prigionia?

Sempre la prigionia è una esperienza difficile e dolorosa. La mancanza di libertà è una delle cose più importanti della vita. Io credo che la prigione non sia mai una soluzione, nemmeno per i criminali. Prima di imprigionare qualcuno, bisogna capire le ragioni che hanno portato quest’uomo ad essere un criminale.

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Si può ancora costruire qualcosa in Siria?

A Mar Elian siamo sempre stati aperti a tutti, anche a coloro che lavorano con le armi o per il regime. Mar Elian è stato davvero un segno di speranza per gli abitanti del Paese. Ma tutto è cambiato quando l’ISIS ha deciso di prendermi in ostaggio. Certo, possiamo costruire ancora qualcosa. Aspettiamo la fine di questa guerra – e non credo finirà a breve, perché non c’è desiderio da parte dei governi e dei popoli dei Paesi occidentali di fermare questa guerra e costruire la pace.