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Palermo in festa: il nuovo arcivescovo Lorefice apre la Porta Santa

L'arcivescovo Corrado Lorefice apre la Porta Santa |  | Guglielmo Francavilla
L'arcivescovo Corrado Lorefice apre la Porta Santa | | Guglielmo Francavilla
L'arcivescovo Corrado Lorefice apre la Porta Santa |  | Guglielmo Francavilla
L'arcivescovo Corrado Lorefice apre la Porta Santa | | Guglielmo Francavilla
L'arcivescovo Corrado Lorefice apre la Porta Santa |  | Guglielmo Francavilla
L'arcivescovo Corrado Lorefice apre la Porta Santa | | Guglielmo Francavilla

«Non è un mero rito, retaggio di un passato di cristianità, quello che abbiamo appena compiuto. Abbiamo aperto simbolicamente una porta perché abbiamo creduto ancora alla Parola del Signore e abbiamo ascoltato la sua voce: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3, 20)». Sono le parole pronunciate dall’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, in occasione dell’apertura della Porta Santa che si è svolta nella maestosa e gremitissima Cattedrale arabo-normanna siciliana.

L’affluenza dei fedeli, all’interno e all’esterno della cattedrale, è superiore ad ogni previsione e i controlli delle forze d polizia sono capillari. La grande popolarità riscossa – in meno di sette giorni – dal nuovo arcivescovo è, probabilmente, anche uno dei motivi della straordinaria partecipazione.

«Oggi – afferma mons. Lorefice durante l’omelia – deve essere più che mai chiaro che la misericordia di Dio e la sua grazia si incontrano attraverso volti di donne e di uomini riconciliati e pacificati dall’incontro con Dio […]; attraverso volti che esprimono tenerezza, accoglienza, gratuità, capaci di perdonare. Donne e uomini, ragazzi e giovani, adulti e anziani capaci di gesti che anticipano l’altro ancor prima che abbia consapevolezza dell’errore o che sia disposto a chiedere perdono. Caparbi e audaci nel vincere «il male con il bene» (Rm 12, 21)».

Dalle parole del nuovo arcivescovo siciliano traspare la figura del Cristo misericordioso, capace di sporcarsi le mani, di «contaminarsi» (precisa Lorefice), entrando in contatto – attraverso i racconti evangelici – con le diverse tipologie di miseria umana. «Gesù accoglie il “sangue impuro” di uomini e di donne che si sono macchiati di colpe e di delitti»; l’eretica e immorale Samaritana, Zaccheo capo dei pubblicani e ladro, Maddalena dalla quale erano usciti sette spiriti impuri, Giuda il traditore e Simone il rinnegatore, che addirittura diventerà roccia, Pietra! «Gesù morirà persino come compagno di due ladroni (Mc 15, 27); cambia la vita di uno di essi, e accetta nella mitezza la denigrazione dell’altro (Lc 23, 39-43). Sono questi quelli che diventeranno suoi discepoli ed apostoli. Conformati a lui. Portatori della “forma di Cristo”».

L’Arcivescovo di Palermo sottolinea l’importanza del Concilio Vaticano II, una memoria necessaria e d’obbligo in questo momento storico. «È questa la Chiesa che il Vaticano II - come evento di grazia del nostro travagliato ma promettente tempo - ha disegnato. È questa la Chiesa che papa Francesco vuole animare, sostenere, accompagnare. Una Chiesa che apre la porta anzitutto a Cristo e al suo Vangelo […]. Una Chiesa che annunzia con parole e gesti concreti che Dio ci vuole liberi dal male, dall’ingiustizia, dalla sofferenza, dalla violenza, perfino dalla morte stessa. […] Una Chiesa che sta nel mondo non imponendo con il bastone una verità dottrinale divenuta legge ma - come auspicava il papa S. Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II, Gaudet Mater Ecclesia - una Chiesa “Sposa di Cristo” che “preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore”».

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Su ciò che è necessario fare, in questo tempo di grazia che il Giubileo ci offre, l’Arcivescovo di Palermo – senza mezzi termini – risponde: «Custodire la trasformazione del cuore, della logica, dello stile di vita che genera in noi l’esperienza della misericordia di Dio. Custodire un cuore sensibile; tenere aperta la porta del nostro cuore; reagire dal profondo delle nostre viscere. Indignarci per il male, la violenza, l’illegalità. Esprimere una fede operante capace di aprire vie di solidarietà di pace e di legalità.  Questo dobbiamo fare!».

Infine, mons. Lorefice – facendo sue le parole di San Giovanni Paolo II – ricorda che «non ci potrà essere pace nei nostri cuori, nelle nostre città, nel mondo intero se non c’è giustizia e, soprattutto, perdono!! “Il perdono si rende necessario anche a livello sociale. Le famiglie, i gruppi, gli Stati, la stessa Comunità internazionale, hanno bisogno di aprirsi al perdono per ritessere legami interrotti, per superare situazioni di sterile condanna mutua, per vincere la tentazione di escludere gli altri non concedendo loro possibilità di appello. La capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di una società futura più giusta e solidale”».

 

Terminata la celebrazione eucaristica ci vuole almeno un’ora, prima che l’Arcivescovo di Palermo (che in Città definiscono già il “Papa Francesco siciliano”) faccia rientro in Curia. Il cordone di polizia a stento riesce a contenere l’entusiasmo della folla! Lorefice si ferma a salutare quasi tutti. Ai giovani, poi, non nega il ricordo di un selfie che immediatamente rimbalza (insieme alle foto scattate durante la celebrazione) nei principali social network, con un incredibile numero di visualizzazioni.