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Papa Francesco: “La misericordia trasforma la vita in Sacramento”

Papa Francesco tiene le meditazioni nel Giubileo dei Sacerdoti | Papa Francesco durante la meditazione in San Paolo Fuori Le Mura | CTV Papa Francesco tiene le meditazioni nel Giubileo dei Sacerdoti | Papa Francesco durante la meditazione in San Paolo Fuori Le Mura | CTV

La misericordia “trasforma tutta la vita del Popolo di Dio in Sacramento”, dice Papa Francesco nella terza meditazione offerta ai sacerdoti della diocesi di Roma in questo 2 giugno. Da San Paolo Fuori Le Mura, dopo aver parlato di “vergognata dignità” e aver indicato “l’esempio di Maria”, Papa Francesco si concentra sulle opere di misericordia. E chiede ai sacerdoti di non “essere funzionari” in confessionale, ma piuttosto di creare “spazi di misericordia.

Perché – dice Papa Francesco – “servire i poveri con le opere di misericordia” è da sempre stata tradizione della Chiesa, nonostante i “molti peccati” che la Chiesa ha vissuto nella sua storia. “Questo buon odore di Cristo – la cura dei poveri – è caratteristico della Chiesa”, e “la nostra gente apprezza questo, il prete che si prende cura dei poveri, dei malati, che perdona i peccatori, che insegna e corregge con pazienza… il nostro popolo perdona molti difetti ai preti, salvo quello di essere attaccati al denaro”.

E il motivo – secondo il Papa – è che “il denaro ci fa perdere la ricchezza della misericordia”. Francesco invita a chiedere la grazia di “lasciarci usare misericordia da Dio in tutti gli aspetti della nostra vita e di essere misericordiosi con gli altri in tutto il nostro agire”.

Il sacerdote deve avere “sguardo di un padre” nel vedere quello che manca per porre rimedio immediatamente, e allora il Papa prega il Signore perché dia a lui e ai sacerdoti “uno sguardo che impari a discernere i segni dei tempi” nella prospettiva delle opere di misericordia necessarie. Anche perché – aggiunge – quando si fanno opere di misericordia “si è benedetti da Dio, e troviamo aiuto e collaborazione della nostra gente”, mentre altri progetti “a volte vanno bene e altre no”.

Papa Francesco parla del Vangelo, della donna adultera che non viene giudicata da Gesù (“chi è senza peccato scagli la prima pietra”) e afferma infastidito che gli dà “un misto di pena e indignazione quando qualcuno si premura di spiegare l’ultima raccomandazione, il ‘non peccare più’, e utilizza questa frase per difendere Gesù, che non rimanga il fatto che si è scavalcata la legge”.

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Per il Papa, “le parole di Gesù sono tutt’uno con le sue azioni”, il fatto che si china a scrivere per terra crea “una pausa”, che parla “di un tempo che il Signore si prende per giudicare e perdonare. Ma nel suo dialogo con la donna Gesù apre “lo spazio della non condanna” e solo in seguito quello del comandamento del non peccare, che “si dà per l’avvenire, per aiutare ad andare, per camminare nell’amore”. Insomma, il Signore “sgombra la strada” dal “peccato sociale” della donna e la mette in cammino, e per questo – dice il Papa – “il ‘non peccare’ non si riferisce solo all’aspetto morale, ma a un tipo di peccato che non la lascia fare la sua vita”. E lo stesso invito di non peccare Gesù lo rivolge “al paralitico di Betzatà”, approfittando “di ciò che lui teme per farlo uscire dalla paralisi”.

In che modo il Signore mette in cammino oggi? Nello spazio del confessionale, il “luogo in cui la verità ci rende liberi per un incontro”, perché i sacerdoti sono “segno e strumento di un incontro”. Ed essere segno significa “essere coerenti, chiari e comprensibili”, mentre siamo strumenti se “veramente la gente si incontra con il Dio misericordioso.

Essere segno significa essere strumento di incontro, “non essere autoreferenziale”, ma soprattutto essere “disponibili”, “mediatori” dell’incontro della misericordia di Dio con l’uomo. E un buon mediatore – ammonisce il Papa – “è colui che facilita le cose e non pone impedimenti”. Il Papa parla di padre Cullen, come prima aveva parlato di Santa Rosa di Lima, e poi del Cura Brochero: esempi di vita comune che mostrano come essere aperti per il Papa. Che invita ad “imparare dai buoni confessori”, e i buoni confessori sono coloro che sanno “commuoversi dinanzi alla situazione della gente”, e che “sanno fare in modo che il penitente senta la correzione facendo un piccolo passo avanti, come Gesù, che dava una penitenza che bastava, e sapeva apprezzare chi ritornava a ringraziare, chi poteva ancora migliorare”.

Il Papa dà ai confessori due consigli: di non avere mai lo sguardo del funzionario, e di non essere troppi curiosi. Racconta di un cardinale di Curia, che "pensavo molto rigido", eppure quando confessava, una volta che capiva, lasciava andare e diceva di "andare avanti". "Questa è delicatezza! Mica hai bisogno di tanti dettagli per perdonare! Ti stai facendo un film?"

Un altro aneddoto del Papa, che parte dal suo rimprovero ai sacerdoti che sono lì a "giudicare casi". E ricorda di quando era studente, che sentì un sacerdote dire che "questo non si trova nella vita, ma si trova nei libri".

E poi il Papa guarda ai passaggi finali dei Vangeli - da leggere in chiave di "opere di misericordia" e sottolinea che “le opere di misericordia sono infinite, ciascuna con la sua impronta personale, con la storia di ogni volto”, e non si racchiudono solo nelle sette opere di misericordia spirituale e sette opere di misericordia corporale”. Il Papa invita a non pensare alle opere di misericordia ad una ad una (ospedali per i malati, mense per quelli che hanno fame, ostelli, scuole per quelli che hanno bisogno di istruzione), ma “se le guardiamo insieme, il messaggio è che l’oggetto della misericordia è la vita umana stessa e nella sua totalità”.

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Dopo la richiesta di essere segno e strumento “si tratta piuttosto di agire” e non solo “di compiere gesti, ma di fare opere, di istituzionalizzare, di creare una cultura della misericordia”. E dato che tutto questo “piace al popolo di Dio” il Papa afferma: “Come sacerdoti, chiediamo due grazie al Buon Pastore: quella di lasciarci guidare dal sensus fidei del nostro popolo fedele, e anche dal suo senso del povero”. E conclude con la preghiera dell'Anima Christi, "una bella preghiera per chiedere misericordia al Signore venuto nella carne".

Dopo, il Papa aggiunge delle parole a braccio:

"Ho sentito tante volte, alcune volte, commenti di sacerdoti, alcuni: 'Questo Papa ci bastona troppo, ci rimprovera'. Qualche bastonata, qualche rimprovero c’è… ma devo dire che sono rimasto edificato da tanti sacerdoti, tanti preti bravi, da quelli che ho conosciuto quando non c’era la segreteria telefonica e dormivano con il telefono sul comodino. Nessuno moriva senza i sacramenti, a qualsiasi ora si alzavano e andavano… ringrazio il Signore per questa grazia: tutti siamo peccatori, ma possiamo dire che ci sono tanti bravi, santi sacerdoti, che lavorano in silenzio e nascosti. Delle volte… uno scandalo! Ma noi sappiamo che fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Ieri ho ricevuto una lettera, lasciata con quelle mie personali, l’ho aperta prima di venire, e credo sia stato il Signore: è di un parroco in Italia, parroco di tre paesini, credo che ci farà bene sentire questa testimonianza di un fratello nostro".

Il Papa dunque legge il testo, di cui qui riproduciamo ampi stralci.

“Perdoni il disturbo. Colgo l’occasione di un amico sacerdote che in questi giorni si trova a Roma per il Giubileo sacerdotale, per farle pervenire senza alcuna pretesa, da semplice parroco di tre piccole parrocchie di montagna, alcune considerazioni sul mio semplice servizio pastorale. (…) Sono consapevole di scriverle nulla di nuovo. Certamente avrà già ascoltato queste cose. Sento bisogno di farmene anche io portavoce. (…) Mi ha colpito e mi colpisce quell’invito che fa a noi pastori di sentire l’odore delle pecore: sono in montagna e so bene cosa vuol dire. Si diventa preti per sentire di quell’odore, che poi è il profumo del gregge. (…) C’è sempre l’incombenza giuridica del parroco come unico e solo legale rappresentante, per cui alla fine deve correre dappertutto, relegando la visita agli ammalati e alle famiglie come ultima cosa. A volte è davvero frustrante constatare come nella mia vita di prete si corra tanto per l’apparato burocratico e amministrativo, lasciando quel piccolo gregge che mi è stato affidato quasi abbandonato a se stesso. È triste e tante volte mi viene da piangere per questa carenza (…) Un altro aspetto richiamato da lei: la carenza di paternità. Si dice che la società di oggi è carente di padri e di madri. Mi sembra che anche noi rinunciamo a questa paternità spirituale con il rischio di diventare ‘burocrati del sacro’. (…) Tutto questo non toglie la gioia e la passione di essere prete per la gente e con la gente. Se a volte come pastore non ho l’odore delle pecore, mi commuove (…) Prego per lei e la ringrazio, come pure per quelle tiratine di orecchie che sono necessarie per il nostro cammino.”