Si sono aperte domenica scorsa 15 ottobre 2017, con la Santa Messa presieduta alle 11.30 dall’Abate generale dei Monaci Benedettini Vallombrosani, don Giuseppe Casetta, le celebrazioni giubilari per il XII centenario di fondazione della Basilica romana di Santa Prassede.

La Messa, animata dal coro gregoriano diretto dal maestro Marco Cimagalli, segna l’inizio del Giubileo che si snoderà fino al 27 maggio 2018 e per il quale è stata concessa l’Indulgenza Plenaria.

Vicinissima alla Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, ricostruita da Papa Pasquale I nell’817, Santa Prassede è uno dei tesori d’arte, cultura e fede più rappresentativi di Roma. Nei suoi mosaici è possibile leggere tutta la complessa simbologia racchiusa nel libro dell’Apocalisse. Custodisce inoltre nella sua cripta i corpi di circa 2300 martiri provenienti dai cimiteri extraurbani della città. Dal 1198 la Basilica è officiata dai Monaci Vallombrosani, la congregazione benedettina fondata da San Giovanni Gualberto, che ricevettero questo incarico da Papa Innocenzo III. Tra i suoi cardinali titolari ricorrono i nomi di San Carlo Borromeo e di San Roberto Bellarmino. “Per noi monaci - afferma don Pedro Savelli, rettore della Basilica e procuratore generale della congregazione vallombrosana -  celebrare un centenario così importante significa far conoscere l’importanza della Basilica, farla vivere come luogo d’incontro e di arte, come occasione di contemplazione e come proposta di culto nella fede”. Tra le meraviglie del tempio, spiccano la Cappella di San Zenone, detta anche il “Giardino del Paradiso” per la bellezza dei suoi mosaici, e la reliquia della Colonna della Flagellazione di Gesù, portata da Gerusalemme nel 1223 sotto il pontificato di Onorio III. C’è, da ultimo, anche un’altra attrazione che da sempre richiama qui visitatori e turisti: è la cosiddetta “araba fenice”. Nel suo libro “Isole. Guida vagabonda di Roma”, lo scrittore Marco Lodoli così ne parla: “Mettetevi di fronte all’abside e guardate alla sinistra dell’enorme Cristo, saltate San Pietro che tiene il braccio sulle spalle di Santa Pudenziana e scrutate tra le foglie dell’esile palma, simbolo della vittoria: lì sta appollaiato il nostro uccello. (…) Ha l’aspetto di chi si è appena risollevato dalla sua cenere, un po’ come noi. Sta posato su un rametto, sembra vacillare nella troppa luce, ma domani volerà, voleremo, nell’aria fresca di Roma”.