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Synod 2018: don Gino Rigoldi racconta i giovani e la Chiesa

Don Gino Rigoldi |  | fondazionedonginorigoldi.it Don Gino Rigoldi | | fondazionedonginorigoldi.it

Virginio Rigoldi, detto Gino, nasce a Milano, nel quartiere di Crescenzago. Dopo le scuole elementari, frequenta l’avviamento professionale, che gli consente di trovarsi un lavoro come operaio presso una piccola azienda di apparecchiature elettriche. A 18 anni entra nel seminario arcivescovile di Venegono.

Dopo aver completato gli studi, il rettore gli chiede di lavorare come vicerettore al collegio ‘De Filippi’ di Varese, dove impara a confrontarsi con i giovani e gli adolescenti. Ed è soprattutto nell'offrire aiuto ai ragazzi più bisognosi che Rigoldi ritrova la ragione del suo voler essere prete. Nel 1967 è ordinato sacerdote. Resterà 4 anni al ‘De Filippi’, finché, nel 1971, verrà mandato in una parrocchia di San Donato Milanese. Un anno dopo chiede ed ottiene di diventare Cappellano dell’Istituto penale per minorenni ‘Beccaria’.

Ben presto don Rigoldi  inizia ad ospitare in casa sua quei giovani che, una volta usciti dal carcere minorile, non hanno famiglia o posto dove andare. In questo è aiutato anche da alcuni volontari legati al  carcere minorile che, insieme ai servizi sociali pubblici, sostengono concretamente i ragazzi  nella ricerca di  un lavoro o nella ripresa dell'attività scolastica. Progressivamente quest'attività si allarga: nascono altre comunità di alloggio, sempre con l'aiuto di volontari ed educatori. Nel 1973 è fondato il ‘Gruppo Amici del Beccaria’, che nel 1975 si trasformerà nella ’Comunità nuova’. L’associazione, di cui egli è presidente, ha  come scopo l’inserimento sociale dei ragazzi che, una volta usciti dalla detenzione, non hanno un contesto relazionale adeguato che li accolga.

Inoltre sono aperte diverse sedi di accoglienza, per alloggiare i senza casa: di quegli anni va ricordata, in particolare, la battaglia contro la droga e sono anche avviati alcuni  progetti per il recupero e per la formazione professionale, molti di questi in collaborazione con enti pubblici  e locali. Lo abbiamo incontrato a Macerata, invitato a parlare sul rapporto tra giovani ed adulti dal circolo ‘Aldo Moro’: “La mia esperienza dice che sono aumentati i ragazzi e le ragazze italiani in carcere per reati contro le persone. In carcere devo faticare per prendere coscienza del male che hanno fatto”. 

Perché il ‘conflitto intergenerazionale’ non esiste più?

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“Oggi il confronto schietto è evitato e questo produce la violenza improvvisa, che un normale litigio avrebbe potuto sanare. Infatti il conflitto è fondamentale nella crescita, ma è un concetto scomparso negli adulti, che preferiscono il silenzio: i ragazzi hanno bisogno dei ‘sì’, ma anche di tanti ‘no’. Conosco famiglia che dicono ‘no’ al figlio eppoi non dormono la notte. E sbagliano!”

Cosa manca oggi, a suo parere, nella nostra società?

“Nelle famiglie e in generale nella società attuale si è persa in modo clamoroso la consapevolezza che gli altri sono persone, esseri umani che hanno uguali diritti e possibilità di vita, di espressione, di percorso, tutti figli di Dio. Si è perso il senso di responsabilità nei confronti dei fratelli. La Chiesa sta facendo molto, pensiamo per esempio alle missioni, ma il Vangelo è chiaro: le cose del mondo devono essere a disposizione di tutti. Incontro spesso gente che si spaccia per cristiana ed è attenta soltanto ai propri beni".

Allora, come guardare il mondo dei giovani?

“Credo che nei giovani ci siano grandi potenzialità; è sufficiente dar loro valore, incominciando a far con loro cose belle attraverso i loro sogni, dicendogli di essere loro protagonisti di qualcosa di bello. Ogni anno invio in Romania a fare volontariato 130 ragazzi per imparare la capacità di far sorridere i bambini abbandonati. I giovani sono una potenza e devono essere riconosciuti come tali ed accompagnati ad esprimersi”.

Ad ottobre la Chiesa ha convocato un Sinodo per i giovani: quale sogno raccontare loro?

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“Il sogno che il Sinodo propone è quello che Gesù ha vissuto (giustizia, pace, condivisione dei beni…). Spesso ci viene presentato Gesù sorridente, ma era un tipo che litigava duramente davanti all’ingiustizia. Era compagno del bene e nemico del male, perché affermava che l’uomo aveva diritto alla libertà. Non possiamo ridurre la questione dei giovani ad una sorta di regolamento ecclesiastico”.

La Chiesa è capace di raccontare il sogno?

“Diventa facile quando nella parrocchia esiste un gruppo che fa un’esperienza. In questo contesto la scintilla può diventare un fuoco. Bisogna creare un contesto per raccontare il sogno: fai qualcosa di bello ed il giovane ti segue”.