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GMM, il vescovo di Crema Gianotti spiega lo stupore per quanto Dio compie

Il vescovo eletto di Crema Daniele Giannotti |  | pd Il vescovo eletto di Crema Daniele Giannotti | | pd

Oggi la Chiesa celebra la XXV Giornata Mondiale del Malato con il tema ‘Stupore per quanto Dio compie: Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente…’. Nel messaggio papa Francesco, affidando gli ammalati alla Madonna, sottolinea che il malato resta sempre una persona: “Come santa Bernadette siamo sotto lo sguardo di Maria. L’umile ragazza di Lourdes racconta che la Vergine, da lei definita ‘la Bella Signora’, la guardava come si guarda una persona. Queste semplici parole descrivono la pienezza di una relazione. Bernadette, povera, analfabeta e malata, si sente guardata da Maria come persona.

La Bella Signora le parla con grande rispetto, senza compatimento. Questo ci ricorda che ogni malato è e rimane sempre un essere umano, e come tale va trattato. Gli infermi, come i portatori di disabilità anche gravissime, hanno la loro inalienabile dignità e la loro missione nella vita e non diventano mai dei meri oggetti, anche se a volte possono sembrare solo passivi, ma in realtà non è mai così”.

 Per comprendere meglio il messaggio del papa abbiamo rivolto alcune domande al nuovo vescovo di Crema, mons. Daniele Gianotti, che sarà ordinato vescovo domenica 19 marzo nella cattedrale di Reggio Emilia da mons. Massimo Camisasca come consacrante principale, affiancato come co-consacranti dal vescovo di Brescia, mons. Luciano Monari e da quello di Como (predecessore di Gianotti a Crema), mons. Oscar Cantoni.  nuovo vescovo di Crema.

 Innanzitutto gli abbiamo chiesto un’impressione sulla sua nomina a vescovo

“Difficile dire in breve, perché ci sono molti sentimenti che si mescolano: metterei al primo posto il senso di ignoto per una dimensione del ministero ordinato quasi completamente sconosciuta e per la quale ci si sente inadeguati, in una diocesi sconosciuta, con la forte percezione del distacco che viene chiesto (dalla mia Chiesa locale, in certa misura anche dalla mia famiglia, dall’insegnamento che è stata parte determinante della mia vita di prete per trent’anni… e, soprattutto, il distacco dalla parrocchia); ma poi c’è anche un senso di pace, quando – non senza fatica – si riesce a percepire la vicinanza di Dio, ricordando di essere consegnati a Lui e alla sua grazia, e anche di essere circondati da moltissime persone che manifestano gioia, amicizia e, soprattutto, promettono preghiere”.

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 Addentrandoci nel messaggio per la giornata mondiale del malato gli abbiamo chiesto di spiegarci cosa vuole dire papa Francesco quando chiede lo ‘stupore per quanto Dio compie’

“Papa Francesco torna spesso sul tema delle «sorprese di Dio», e vede nella disponibilità del credente ad accogliere con meraviglia e riconoscenza queste sorprese un aspetto determinante della vita di fede – e, non a caso, fa riferimento al modello di ogni credente, la Vergine Maria e al suo cantico di lode. Dio si lascia trovare dove meno te lo aspetti, ti viene incontro in situazioni imprevedibili… La malattia stessa può essere vista così. Sottolineo il può: non va da sé che si veda la malattia in questo modo, e occorre molto rispetto per il malato (anche credente, anche prete e forse – non lo so – anche vescovo) che invece non riesce a riconoscere nella malattia l’occasione per un rinnovato incontro con Dio. Per Giobbe è stato necessario un cammino lungo e molto sofferto, per arrivare a dire: ‘Prima ti conoscevo per sentito dire, adesso i miei occhi ti vedono’ (cf. Gb 42,3); cammino difficile, ma possibile, che può trasformare la malattia in rinnovata esperienza di fede”.

 Allora come dare ‘dignità’ ai malati?

“Mi sembra che la ‘dignità’ sia più da riconoscere, che da ‘dare’. E’ la dignità intrinseca in ogni essere umano, creato a immagine di Dio, e incontrato in una situazione di particolare debolezza, che domanda una cura speciale, un «circondare di maggior onore» proprio chi soffre ed è tribolato (cf. 1 Cor 12,22-26). Per un credente, nel malato si incontra e si tocca la ‘carne di Cristo’, come spesso ricorda papa Francesco. Si tratterà poi di vedere in che modo questo riconoscimento si attua nelle varie relazioni che si hanno con la persona malata, perché diverso è il caso del medico o dell’infermiere, del famigliare, dell’amico…”.

 Tra i suoi meriti va annoverato quello di essere stato uno degli ideatori del progetto ‘Hospice’, attivo dal 2001, casa ospedaliera che si occupa dell’assistenza dei malati terminali di tumore nella provincia di Reggio Emilia, e centro culturale e di riflessione sul tema della morte nella vita del cristiano.

Gli abbiamo chiesto di spiegarci in cosa consiste tale progetto

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“Per ricollegarmi alla domanda precedente, nell’avviare un Centro di cure palliative ci siamo chiesti: cosa significa ‘circondare di maggior onore’ chi è non solo malato, ma senza più ragionevoli e proporzionate possibilità di cure che conducano alla guarigione? Che fare, quando ‘non c’è più niente da fare’? Come uscire dalla strettoia tra l’abbandono (o la deriva verso l’eutanasia) e l’accanimento terapeutico? C’è moltissimo che si può fare: a va dalle cure per il contenimento del dolore alla creazione di luoghi di degenza più vicini all’ambiente domestico che all’ospedale, al favorire il bisogno di relazione (o, in altri casi, di riserbo) del malato, all’attenzione a tante cose apparentemente piccole (a volte anche solo aiutare un malato a farsi un bagno senza soffrire è un beneficio immenso!) ma preziose, che fanno sentire il malato – e i suoi cari – destinatario di attenzione delicata e premurosa e possono anche accompagnarlo, se questa è la situazione, nell’ultimo tratto della sua vita in questo mondo”.

 Quale riflessione sulla vita e sulla morte proporre in senso cristiano?

“Dovendolo dire in pochissimo spazio, riassumerei le cose nel detto di Gesù sul ‘dare la propria vita’ (ad esempio Giovanni 12, 25). Si può vivere la vita come qualcosa da ‘difendere’ a tutti i costi, come una preda che altri ci vogliono sottrarre (e allora la morte si presenterà come il nemico peggiore); e si può tentare di vivere, come il Vangelo propone, nel dono di sé: e allora la morte sarà il compimento di questo dono, sarà ‘nostra sorella morte corporale’, la consegna di sé a Dio, senza nulla trattenere, perché Egli trasfiguri tutto in vita eterna”.