Le Acli richiamano al senso vero del primo maggio, soprattutto in un momento in cui “la vera crisi non è l'assenza di ricchezza o vocazioni per creare ancora lavoro e progresso sociale, ma l'assenza di un quadro collettivo”. Perché “la diffusa difficoltà, sia come singoli che come territori, parti sociali, Paese e Paesi, di vedersi insieme di fronte ai problemi e ai cambiamenti, e non gli uni contro gli altri; a vantaggio della logica del più forte, che poi è la logica del più scaltro e del più protetto, vera anticamera e seme della corruzione e delle mafie”.

Un documento sintetizza i punti chiave da rimettere al centro per una vera cultura del lavoro. “In questo Primo Maggio di crisi le Acli sono vicine in particolare a chi è alla ricerca di un lavoro, a chi rischia di perderlo, a chi pur lavorando non ottiene un reddito che consenta di vivere alla sua famiglia con dignità”, il pensiero di Gianni Bottalico, presidente nazionale delle Acli.

“Ribadiamo che occorre superare l'attuale idolatria del denaro, denunciata da Papa Francesco – continua il presidente -, in favore di una concezione dello sviluppo che coinvolga tutta la società, senza escludere nessuno. Per questo evidenziamo l'urgenza di un piano per il lavoro e di una nuova politica industriale che comprenda anche un forte disincentivo alle delocalizzazioni, accanto a maggiori risorse per la formazione professionale, per i servizi all'impiego, per gli ammortizzatori sociali universali e per il contrasto alla povertà assoluta che riguarda anche milioni di lavoratori. Proponiamo anche che almeno una piccola quota del denaro che la Bce offre alle banche (quantitative easing) venga trasferito direttamente a famiglie, lavoratori e imprese per determinare un forte stimolo alla ripresa della domanda interna”.

Nel documento presentato dalle Acli si parla di crisi, ma anche di buone pratiche per uscirne, oltre naturalmente al tema dei contratti, partendo dal Job Act, varato recentemente dal Governo italiano. “Va valorizzato lo sforzo per il superamento di alcuni contratti che giocavano molto sulla precarietà e per ricondurre i contratti di collaborazione a progetto alla contrattazione collettiva di settori specifici”, si legge nel documento. “Anche se va chiarito, limitato, e soprattutto controllato contro gli abusi, il lavoro accessorio. Il tema della lotta alla precarietà va esteso prevedendo un rapporto più corretto tra Pubblica Amministrazione e propri fornitori e partner, specialmente intervenendo sulle gare al massimo ribasso e sui tempi di pagamento ancora spesso assurdi”, favorendo e rendendo più “chiaro l’apprendistato”.

Serve ridare fiducia alle imprese, favorendo gli investimenti nell’“innovazione, internazionalizzazione, nel mettersi in rete, nella crescita professionale del personale, nel non doversi muovere in mercati corrotti o dove prevalgono le conoscenze e la furbizia”. Ma, continua il documento, “il tema delle politiche attive vorremmo fosse il vero tema cardine: innanzitutto si dovrà promuovere una politica nazionale che non cali dall’alto, ma promuova politiche del lavoro locali con la partecipazione degli attori del territorio perché in realtà non esiste un mercato del lavoro italiano, ma tanti mercati del lavoro locali, profondamente differenti, per territorio e non solo”.

Secondo Stefano Tassinari, responsabile lavoro e vice presidente nazionale delle Acli, tuttavia, servono “molte strade importanti da rafforzare per estendere le tutele e per promuovere politiche veramente attive di lotta alla disoccupazione, ma non deve dimenticare che il lavoro è purtroppo anche spesso una esperienza di sfruttamento e ricatto, magari dove la sicurezza non viene rispettata. Non si può non preoccuparsi del fatto che licenziamenti senza alcuna minima motivazione, anche in contesti per nulla piccoli, non possano rappresentare un rischio in tal senso”.