“Don Mario Ciceri s’impegnò quotidianamente a smussare alcune spigolosità caratteriali giungendo a mostrare in sé un efficace connubio tra vita spirituale e vita pastorale al punto che tutti riconobbero in lui un sacerdote che realizzava con zelo e in fedeltà la sua vocazione. È stato paragonato al santo Curato d’Ars. Anche Armida Barelli camminò nell’amore con una costante limatura del suo temperamento. Mentre veniva consumata dall’infermità il beato Ildefonso Schuster disse di lei: Il Re Divino sta cesellando il suo gioiello”. Lo ha detto il Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, nell’omelia pronunciata sabato a Milano in occasione della beatificazione di Armida Barelli e Don Mario Ciceri.

“Parlando di Armida Barelli- ha ricordato il Cardinale – Giovanni Battista Montini, sin dagli inizi del suo ministero come Pastore di questa Arcidiocesi disse che a lei doveva andare il plauso non soltanto di Milano, ma dell’Italia, per aver lasciato un’eredità che veramente arricchisce le file della vita cattolica e segnato la via per l’educazione moderna della gioventù femminile”.

“In realtà – ha detto ancora il porporato - l’apostolato della Barelli spaziò su più fronti, dall’Opera della Regalità all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Al riguardo, il p. Agostino Gemelli nel suo Testamento spirituale lasciò scritto: «Tutti i miei collaboratori si ricordino che agli occhi degli uomini io appaio come uno che ha fatto delle opere: queste non sarebbero né nate, né fiorite senza lo zelo, la pietà, l’intelligenza e soprattutto la vita soprannaturalmente ispirata della signorina Barelli». In particolare, ella volle la Facoltà di Medicina al punto da preferirla come dono del Signore alla guarigione dalla malattia che poi la condusse alla morte”.

La santità è questo: seguire la scia del profumo di Cristo. Per il beato Mario Ciceri – ha concluso il Cardinale Semeraro - fu la vocazione al ministero sacro; per Armida Barelli fu la vocazione all’apostolato laicale”.