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Bruxelles, sfide future e bilancio del passato. Nelle parole dell'arcivescovo Léonard

Arcivescovo André-Joseph Leonard, emerito di Malines-Bruxelles | L'arcivescovo Leonard durante una delle sue visite pastorali | Wikimedia Commons Arcivescovo André-Joseph Leonard, emerito di Malines-Bruxelles | L'arcivescovo Leonard durante una delle sue visite pastorali | Wikimedia Commons

Resterà in Belgio ancora un po’, poi andrà in Francia, in nel santuario di Notre Dame de Laus in Provenza, ad aiutare nelle confessioni, celebrare Messa, magari scrivere qualche altro libro. André-Joseph Leonard è stato l’arcivescovo di Bruxelles per gli ultimi cinque anni. Raggiunto il limite di 75 anni di età, come da prassi, ha rassegnato le dimissioni. Il 5 novembre Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Jozef de Kesel come suo successore. Con ACI Stampa, l’Arcivescovo Leonard fa un bilancio del suo lavoro.

Quale è l’eredità che lascia alla sua diocesi?

Per me era una bella sfida di diventare a quasi 70 anni arcivescovo di Malines- Bruxelles, dopo essere stato vescovo di Namur per 19 anni. Indicai subito un certo numero di priorità per il mio ministero. E la prima priorità era quella di fare visite pastorali, come era stato richiesto dal Concilio di Trento e come era stato messo in pratica da vescovi come Carlo Borromeo e Francesco di Sales. Mi sono posto l’obiettivo di visitare l’intera diocesi in cinque anni. Ci sono riuscito. È stato un tempo molto prezioso, perché permette di incontrare le persone. E permette di essere a disposizione, cosa che riempiva la gente di gioia.

Quali sono state le sue altre priorità?

Una seconda priorità era la promozione delle vocazioni sacerdotali. Quando sono arrivato c’erano quattro seminaristi per tutta la diocesi, e due sole strade per diventare sacerdote: studiare a Namur, per i francofoni, nel seminario che riformai, o studiare nel seminario di Lovanio, per quanti sono di lingua fiamminga. Ho preso l’iniziativa di creare un seminario Redemptoris Mater, così ho potuto accogliere una ventina di seminaristi da Italia, Spagna, Polonia, America Latina, che si inculturano molto bene perché hanno come principio di imparare le due lingue, il francese e il fiammingo, e il loro esempio ha stimolato alcuni belgi di fare lo stesso. Due anni fa ho creato una fraternità di seminaristi e sacerdoti ispirati dall’attività pastorale di un sacerdote francese che era parroco a Marsiglia, padre Michel Marie Zanotti. Si tratta di seminaristi che si sentono chiamati in modo molto speciale allo slancio missionario: Hanno una chiara identità: quando sono già ammessi come candidati al presbiterato portano un abito talare molto semplice, e questo aiuta a Bruxelles, dove ci sono tanti uomini musulmani, che vanno in giro con una specie di tunica, e tante musulmane che vanno vestite come religiose, non pare strano.

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Cosa ha chiesto ai sacerdoti?

Voglio che da sacerdoti che lavorino in gruppo, che si organizzino a vivere insieme in due o tre. Questa mia politica ha attirato molti candidati. Lascio una diocesi con 55 seminaristi, e ci sono 28 membri di questa fraternità. Sono così numerosi che non ho giudicato giusto rimanessero tutti nella diocesi di Malines-Bruxelles e ho creato un collegamento con il vescovo di Bayonne, che ha ricevuto un sacerdote e quattro seminaristi.

Quali sono i progetti ora?

Avremo ordinazioni di giovani per assicurare un po’ il futuro del ministero pastorale. Ho affidato a cinque sacerdoti due parrocchie in Bruxelles, una piccola parrocchia popolare in un vicolo con case popolari alla frontiere di Linkebeek e lì svolgono un bell’impegno pastorale tra gente semplice: la parrocchia era chiusa da due anni. Ho affidato loro anche un’altra chiesa che era chiusa, Santa Caterina. Adesso, lì ogni giorno si fanno adorazione, confessione, due Messe.

Quale è invece la situazione della liturgia?

Migliorare la qualità della liturgia era un’altra mia priorità. La liturgia deve avere due qualità: deve lasciar risplendere la bellezza, la gloria di Dio e deve anche parlare al cuore della gente; dunque deve riferire alla gloria di Dio, all’amore di Gesù Cristo, alla presenza dello Spirito Santo, ma anche toccare il cuore dei fedeli presenti. In Bruxelles, nella parte francofona della diocesi, la situazione della liturgia è abbastanza buona, anche se è ancora possibile progredire. Ma nella parte fiamminga, come in tutta la parte fiamminga del Paese, la liturgia in molte parrocchie si è appiattita. Ho scritto ad ogni parrocchia in cui sono stato, stimolando la gente a pregare con più fervore e anche con il corpo, perché si prega anche attraverso gli atteggiamenti del corpo. Ho anche insistito molto perché la comunione sia vissuta con rispetto, con amore, con bellezza anche, che non sia ricevuta come si mangia una chip. Il “chips eucaristico” purtroppo esiste, ci si comunica in modo triviale. Ho insistito, ma c’è ancora da fare. Io apprezzo molto l’adorazione eucaristica, che è un bel prolungamento della celebrazione, perché una Messa dura un’ora, e non si ha abbastanza tempo per interiorizzare la ricchezza della comunione, mentre l’adorazione dà tempo per essere esposto a quella presenza.

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Da quello che racconta, la Chiesa in Belgio è molto viva. Allora perché il Belgio è stato soggetto di questa progressiva secolarizzazione?

Nel passato il Belgio è stato un baluardo della Chiesa cattolica, forse in modo eccessivo. C’è stata quasi una prepotenza della Chiesa cattolica, principalmente nella parte fiamminga del Paese. È successo meno nella parte francofona, dove abbiamo dovuto sempre confrontarci con il liberalismo laico, con il socialismo. Ma nella parte fiamminga la Chiesa cattolica faceva il bello e il cattivo tempo. Quando il verme della secolarizzazione si introduce in una mela di quella specie allora la reazione è molto forte, e si è diventati tanto critici verso la Chiesa. Credo che sia una forma di vendetta, si paga il conto di una presenza troppo dominante e spesso con una forma di autoritarismo. Credo che si spieghi così.

Quale è la situazione delle famiglie nella diocesi?

Anche la cura delle famiglie era una mia precisa priorità. Già da quando ero vescovo a Namur, ho incontrato persone che vivevano in situazioni coniugali irregolari, persone non solo divorziate ma anche risposate, che parlavano del desiderio di un cammino con il Signore a partire dalla loro situazione. Dopo aver incontrato una decina di persone in quelle situazioni, ho deciso di radunarle, e abbiamo organizzato insieme giornate per raccogliere persone divorziate, separate e risposate. Ho sempre provato di incontrare quei fratelli e quelle sorelle, sempre con grande amore, pazienza, benevolenza. Ma gli incontri avvenivano sempre nella verità, con fedeltà al Vangelo, a Gesù, al matrimonio come lui ce lo presenta. Questa esperienza mi ha convinto che è possibile aiutare la gente a vivere quelle situazioni in un cammino di santificazione e di conversione.

Come era la sua pastorale anche per divorziati in una seconda unione?

Quando incontravo divorziati o separati, li aiutavo se possibile a rimanere fedeli al loro matrimonio e anche al consorte, anche se sono separati. Lo facevo con l’aiuto di una comunità che si chiama Communeauté Notre Dame de l’Alliance. E se non potevano, o non volevano, fare quella scelta, e se si risposavano per diverse ragioni, perché si sentivano chiamati a vivere soli, oppure volevano assicurare l’educazione dei figli, allora li aiutavo a fare una scelta autenticamente cristiana ispirandomi alla Familiaris Consortio. E spiegavo loro che, dato che erano risposati, si dovevano astenere dalla comunione perché c’è contraddizione obiettiva tra la nuova ed eterna alleanza eucaristica e l’alleanza coniugale che è stata rotta. E quando si ha un po’ di tempo, in un ambiente di preghiera e di fratellanza, possono accettare quel linguaggio. Nella mia equipe avevo anche divorziati e gente risposata, però che sempre davano una testimonianza fedele all’insegnamento del Vangelo e della Chiesa.

Come giudica allora la risposta che si è data sulla questione da parte del Sinodo dei vescovi?

Ho l’impressione che nell’ultimo sinodo si sia tenuto - a proposito di quelle situazioni -un linguaggio ambiguo che permette diverse interpretazioni. Questo linguaggio è stato già è recuperato come se fosse uguale ad un accesso alla Comunione che dipende solo dalla propria coscienza o dal parere di un pastore locale. Ma quello che è in gioco è per natura universale Non dipende da situazioni locali, dipende dalla natura stessa dell’alleanza coniugale. Spero che l’esortazione post-sinodale potrà chiarire quelle difficoltà.

In tutto l’impegno della Chiesa oggi non si parla mai delle coppie che vivono nella piena fedeltà e fiducia alla dottrina alla loro unione…

È successo che queste riunioni con le coppie irregolari hanno suscitato una reazione da parte delle coppie “normali.” Allora ho organizzato dei raduni delle coppie per rinnovare l’impegno coniugale. Bellissimo! Hanno partecipato centinaia di coppie. E poi ho anche organizzato, su iniziativa di laici, raduni per le coppie che aspettano un figlio, quindi molte donne con il pancione. Io benedicevo le coppie presenti, e benedicevo bambini già nati e bambini nel seno della madre. E poi abbiamo fatto incontri con i vedovi.

Dall’impegno con le famiglie viene anche l’impegno in società?

Anche questo è stato uno dei mie obiettivi. Il mio predecessore, il Cardinal Danneels, aveva creato un organismo che si chiama Betlemme, un progetto per trasformare case, palazzi, proprietà della Chiesa in case popolari, e questo l’ho molto incoraggiato. Ho provato ad essere molto vicino alla gente, a tutta la gente cristiana che crea iniziative per incontrare quelle difficoltà, quelle situazioni difficili. Ho avuto molti contatti con i candidati allo status di rifugiato, con i profughi.

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Quali sono le sfide che attendono il suo successore?

Le sfide saranno quasi le stesse, sono priorità inevitabili. Forse, tenendo conto della sua formazione, credo che il dialogo interreligioso sarà molto importante. Qui a Bruxelles già un quarto della popolazione è musulmana, e va a crescere in numero, siccome la loro demografia più generosa di quella degli indigeni. Saremo confrontati sempre più alla necessità di avere un dialogo con tutti quei musulmani presenti sul territorio belga, principalmente a Bruxelles, e credo che lui sia molto aperto a questo.

Quanto è importante la presenza della Chiesa nella società?

Siccome Bruxelles è anche la capitale dell’Europa, è ancora più importante. Il Belgio ha una grande tradizione di strutture ecclesiali forti, e più della metà degli allievi nelle scuole si trovano in scuole cattoliche, più della metà in parte fiamminga, il 70 per cento della popolazione delle scuole si trova in scuole con una etichetta cattolica. Anche nel campo delle cliniche, tante cliniche sono di ispirazione cattolica, strutture (sindacati cristiani, mutualità cristiana, strutture fortissime). E anche la Chiesa, nella Chiesa stessa una rete parrocchiale molto stretta, molto forte, e adesso si investe molta energia nella ristrutturazione di quelle strutture in unità pastorali, settori pastorali più grandi, spesso a causa di un numero più piccolo di sacerdoti, non è l’unica ragione, ma gioca un ruolo importante. È necessario farlo, ma ho spesso l’impressione che si investe troppa energia in quelle strutture, mentre la cosa più importante in un Paese che ha perduto la sua anima cristiana è che ci sia uno slancio nuovo, una fiamma, un profetismo, una Chiesa più carismatica. Le strutture sono importanti, però è il cuore, lo slancio, la fiamma che è più importante.

Quale è il rapporto con la politica?

C’è una forte presenza della massoneria negli ambienti politici, mentre i partiti che si riferivano ad una identità cristiana sono quasi spariti. Ma io non considero che sia necessario che ci siano partiti con una etichetta cristiano-cattolico: questo può essere ambivalente. Ritengo però che è molto importante che ci sono cristiani che si impegnano nella vita politica, fedeli ad un ideale esigente e capaci di giustificare le loro scelte con argomenti razionali.

Quale è stato il suo impegno per formare giovani impegnati nella vita politica?

Avrei potuto fare di più. Ho incontrato parecchie volte gruppi di giovani, alcuni che studiavano, altri che già lavoravano, tutti con un ideale cristiano da voler impegnare in politica. Li ho incontrati molte volte, ma forse non abbastanza. Pochi mesi fa ho incontrato un gruppo di giovani professionisti che mi chiedevano di dare loro una formazione nel campo filosofico. Sono un gruppo di 25 persone, vengono dieci sabati l’anno da me, per avere un discernimento cristiano nel campo della filosofia moderna.

Ho ammirato il loro desiderio di formarsi, perché questo manca. Se uno vuole impegnarsi nella vita politica deve essere capace di portare avanti argomenti che valgono, solidi dal punto di vista razionale-filosofico. In un Parlamento non basta riferirsi al Corano o alla Bibbia, bisogna argomentare con argomenti accessibili.

Quanto ha inciso lo scandalo della pedofilia in Belgio?

Ha creato effettivamente una crisi. Non è totalmente finita: anche negli ultimi giorni si è parlato nuovamente di abusi avvenuti nel passato, però con conseguenze nel presente. Devo però dire che la Chiesa belga ha trovato un modo giusto per rispondere a quella crisi e devo ringraziare a quel proposito due vescovi che si sono molto impegnati affinché la Chiesa trovi un modo adeguato di rispondere alla crisi, e di rendere giustizia alle vittime: il vescovo di Anversa, Johan Bonny e il vescovo di Tournai, Guy Harpigny, i quali hanno dedicato molto tempo ai contatti con il mondo politico, con la commissione parlamentare che aveva trattato di quel problema, e anche con gli organismi pubblici della Chiesa cattolica destinata ad accogliere le vittime. Questo ha ricostituito l’immagine della Chiesa cattolica in Belgio, perché anche il mondo politico ha apprezzato il modo in cui dopo pochi mesi la Chiesa cattolica belga ha affrontato quel problema. E poi abbiamo preso delle misure per evitare che questo si ripeta nel futuro. Siamo più attenti a eventuali disordini psicologici tra i sacerdoti e anche gli altri attori della pastorale. E reagiamo subito quando c’è un problema.

Ha speranza per il futuro della Chiesa?

Sì, perché la Chiesa non è nostra. È del Signore. È l’unica realtà in questo mondo che ha le promesse della vita eterna. Gesù dice alla sua Chiesa: “Le porte della morte non prevarranno” e “io Sono con voi tutti i giorni fino alla Fine del Mondo.” Quando si ha come padrone uno che ha vinto la morte, non si può avere paura.