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Burkina Faso, attaccato da miliziani armati il seminario minore di San Kisito

Aiuto alla Chiesa che Soffre denuncia un attacco, da parte di uomini armati, nel seminario che si trova nella diocesi di Fada N’Gourma. Nessuna perdita umana, molti danni materiali

Crocifisso San Kisito | Il crocifisso distrutto nel seminario minore di San Kisito, in Burkina Faso | Aid to the Church in Need International Crocifisso San Kisito | Il crocifisso distrutto nel seminario minore di San Kisito, in Burkina Faso | Aid to the Church in Need International

Nella notte tra il 10 e il l’11 febbraio, un gruppo di uomini armato non identificato ha attaccato il seminario minore di San Kisito a Bougui, nella diocesi di Fada N’Gourma, nella zona orientale del Burkina Faso. Non ci sono state perdite di vite umane, ma tuttavia l’attacco ha fatto moltissimi danni materiali. Distrutto il crocifisso, perché – hanno detto i miliziani – “non vogliamo vedere croci”.

La notizia è stata data da Aiuto alla Chiesa che Soffre, che supporta il seminario. I miliziani jihadisti che hanno attaccato il seminario erano una trentina e sono arrivati in motocicletta intorno alle 20 del 10 febbraio. Sono rimasti una ora, durante la quale hanno bruciato due dormitori, una classe e un veicolo, mentre si sono appropriati di un alto veicolo.

Dopo aver distrutto il crocifisso, i miliziani hanno detto ai seminaristi che devono andarsene, perché sarebbero tornati ad uccidere chiunque troveranno ancora nel seminario.

Il seminario ospita 146 seminaristi e 7 formatori, e i seminaristi sono stati inviati a casa dalle loro famiglie per una settimana, in attesa degli sviluppi dopo l’evento. L’attacco ha anche portato alcune persone del villaggio dove è situato il seminario a lasciare il villaggio.

Le milizie jihadiste – sia di al Qaeda che del sedicente Stato Islamico - imperversano da tempo in Burkina Faso, e sono continue le segnalazioni di attacchi e uccisioni. A giugno 2021, era riportato che i jihadisti avevano ucciso 160 cristiani, a novembre altri 10 cristiani erano state vittime della furia dei miliziani.

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Dal 2014, dopo le dimissioni del presidente Blaise Campoairé dopo 27 anni di governo semi-autoritario, il Burkina Faso è diventato un territorio di conquista, appetibile anche alle milizie islamiste per le miniere di estrazione dell’oro che oggi impiegano 700 mila minatori e altre due milioni di persone collegate con l’industria dell’estrazione, ancora artigianale, ma le cui licenze di estrazione sono completamente in balia dei predatori, di fronte all’incapacità dello Stato di gestire la situazione.

A fine gennaio, i militari si erano ammutinati, in uno sciopero di protesta contro lo Stato che non riusciva a contrastare il fenomeno jihadista.

La Santa Sede ha una fondazione, dai tempi di Giovanni Paolo II, dedicata proprio alla regione del Sahel, mentre Aiuto alla Chiesa che Soffre ha all’attivo diversi progetti di sostegno per i cristiani della regione, che sono una minoranza minuscola a confronto della schiacciante maggioranza islamica.

L’ultimo rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre sottolinea “la progressiva radicalizzazione del continente africano, specie nelle aree sub-sahariana e orientale, dove la presenza di gruppi jihadisti è notevolmente aumentata. Violazioni della libertà religiosa si sono verificate nel 42% delle nazioni africane”.

Il Burkina Faso, insieme al Mozambico – anche quello preda dello Stato Islamico – sono i due casi più eclatanti tra i sette Paesi che si sono aggiunti alla lista in cui più si soffre la persecuzione religiosa. Gli altri sono Camerun, Ciad, Comore, Repubblica Democratica del Congo e Mali.