“Il grido del precari è realmente la periferia che, più di tutte, domanda luce, che ci chiede premura”. Secondo i vescovi italiani, “senza lavoro, infatti, non c’è famiglia e non c’è dignità umana. Ma sono ancora molti nel nostro Paese i fratelli e le sorelle, specie giovani, che mancano della dignità del lavoro. In tante famiglie, le reti sono e restano vuote”.

Per il Primo maggio, festa del lavoro, un messaggio della Commissione episcopale della Cei per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace, fa notare come sia “impellente il dovere di fondare la nostra economia su un preciso orientamento etico e antropologico che ponga sulla persona, non sul mercato da solo, la forza stessa dell’economia”. Per i vescovi, “si apre una sfida per superare quella finanza che, finora, si è presentata come negazione del primato dell’uomo. La mancanza di lavoro uccide, poiché è “un’economia dell’esclusione e della inequità”, come cita l’Evangelii gaudium”.

“Il problema non è quello della sussistenza – si spiega in un messaggio -, ma quello di “non poter portare il pane a casa” come ha detto Papa Francesco”, perché “dove non c’è lavoro, non c’è dignità”. “La persona . continuano i Pastori italiani  - si riduce a merce e mancando la dignità, l’umanesimo si svuota! Come Chiesa e società italiana, ci interroghiamo allora con trepidazione sul futuro dei nostri giovani. Sulla loro dignità. Sentiamo infatti che questa precarietà è attesa di nuove strade, per la costruzione del bene comune”.

L’“arte” da portare avanti, anche come comunità ecclesiali, è quella dell’“accompagnare” , che “significa soprattutto far abitare con fiducia il nostro tempo, con una vita sociale piena e partecipativa. Rendere protagonisti i nostri giovani, anche negli anni della precarietà, sorretti dalla luce delle Beatitudini, che riconoscono nella pratica della giustizia la forza delle radici dell’albero della vita”, ma anche “star vicino, condividere lacrime e speranze, in un’empatia che si fa misericordia vissuta e solidale, che sta alla base di ogni esperienza cooperativistica”.

“Questa visione di solidale attenzione al fragile e al precario si impara già in famiglia, che si fa scuola sociale nel suo stesso esserci”: da questa, se “vicina, unita e riconciliata”, “può sgorgare un flusso vitale, capace di aiutarci a gestire questa crisi, etica, sociale ed economica”.