Advertisement

Contemplazione e azione, la missione della Chiesa. XV Domenica del Tempo Ordinario

Il commento al Vangelo domenicale di S.E. Monsignor Francesco Cavina

La chiamata dei discepoli |  | pubblico dominio La chiamata dei discepoli | | pubblico dominio

L’Evangelista san Marco ci ha già parlato della chiamata degli apostoli. I dodici erano stati scelti perché stessero con lui e per annunciare il Vangelo. Fino a questo momento essi hanno conosciuto la bellezza di stare con Gesù”, ora sono mandati per vivere la seconda dimensione del discepolato, cioè l’andare, l’uscire per portare il lieto annuncio della salvezza.

Gli apostoli vanno con una triplice consapevolezza: (1) non è una decisone  personale; (2) è Gesù che li manda; (3) portano un messaggio che non appartiene a loro, ma viene dall’Alto. Sono stati coinvolti, dunque, in un’iniziativa che non è la loro in quanto mandati a fare quello che ha fatto Gesù: predicare la conversione, guarire gli ammalati, cacciare i demoni.

Nei compiti affidati agli apostoli troviamo descritta la missione della Chiesa, la quale è chiamata a coniugare contemplazione ed azione; a vivere, cioè, un’esistenza dove l’intenso operare per i fratelli non distoglie dall’attenzione a Cristo, dal continuo riferimento a Lui perchè, come ricorda il Salmo: Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Dunque, è il Signore Gesù che edifica la sua casa, la Chiesa

Gesù “…incominciò a mandarli due a due”. S. Gregorio Magno afferma che “Li manda a due a due per raccomandare la carità, perché meno che tra due non ci può essere la carità”. Quasi a ricordarci che la missione deve essere illuminata dalla testimonianza evangelica per eccellenza: l’amore fraterno.

La carità, la vita fraterna, la concordia, la stima vicendevole…tra i fratelli nella fede, sono già testimonianza del Vangelo. Non c’è nulla di più negativo, per l’annuncio della parola di Dio, quanto lo spettacolo di disaccordo, di rivalità, di invidia, di disamore tra i discepoli di Cristo.

Advertisement

Realisticamente, dobbiamo riconoscere che tensioni, contrasti, pluralità di vedute hanno sempre accompagnato e continueranno ad accompagnare il cammino della Chiesa nel tempo e nella storia. Tuttavia, la carità è la risorsa, è l’antidoto che contrasta le inevitabili divisioni e opposizioni perchè sa trovare sempre il modo di ricucire, di risanare, di ricomporre l’unità. Non si scoraggia mai.

Gesù, nel testo evangelico di oggi, non dice nulla riguardo al contenuto della predicazione, non consegna un trattato di teologia da studiare, non insegna neppure un metodo. Si dilunga, invece, sullo stile di vita che deve caratterizzare l’inviato di Cristo. Questo deve andare senza portare con con sé cibo e soldi e presentarsi solo con un bastone, un paio di sandali e una tunica. Sembra, che per Gesù, la testimonianza della vita sia, quindi, più importante della parola. Quello che Cristo raccomanda è la povertà, la quale è prima di tutto  distacco da se stessi, poi dai beni per affidarsi alla sola Provvidenza e servire il povero. Dice un padre della Chiesa: “chi non ama il povero, in realtà non sa amare nessuno, neanche se stesso”.

La missione si svolge in una atmosfera drammatica: il Vangelo viene rifiutato e i discepoli devono sopportare la persecuzione. Rifiuto e contraddizione fanno parte della sofferenza del discepolo. Ma non c’è da spaventarsi, né da inquietarsi. A noi è stato affidato un compito, non garantito il successo. L’unica gloria del discepolo è quello di rimanere fedele a Colui al quale ha affidato la sua vita: il Signore Gesù. Dice sant’Agostino: E’ lui che costruisce, ammonisce, incute paura, apre l’intelligenza, indirizza la mente alla fede (Commento al Salmo 126,2).