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Cosa si è detto al 'Sinodo ombra'?

Sinodo dei vescovi | Cardinale legge un quotidiano in una pausa del Sinodo dei Vescovi 2014, Aula Nuova del Sinodo, 4 novembre 2014 | Daniel Ibáñez / Catholic News Agency Sinodo dei vescovi | Cardinale legge un quotidiano in una pausa del Sinodo dei Vescovi 2014, Aula Nuova del Sinodo, 4 novembre 2014 | Daniel Ibáñez / Catholic News Agency

Lo hanno chiamato il “Sinodo ombra,” perché l’obiettivo era quello di una grande assise sui temi sinodali, magari anche per stimolare un documento teologico da buttare nella mischia alla vigilia del Sinodo, il prossimo settembre, durante il viaggio di Papa Francesco negli Stati Uniti. Ma i partecipanti hanno minimizzato: secondo loro, quello del 25 maggio scorso alla Gregoriana era solo di uno degli incontri periodici congiunti delle Conferenze Episcopali di Svizzera, Germania e Francia. Oggi perlomeno si può sapere un po’ del contenuto dell’incontro, perché i testi degli interventi (tranne la relazione finale del Cardinal Reinhard Marx) sono stati pubblicati in italiano, francese e tedesco sul sito della Conferenza Episcopale Tedesca lo scorso 17 luglio.

I testi delineano bene il panorama della discussione. Ne viene fuori – per fare una prima rozza sintesi – un ‘sì’ generale alla contraccezione e agli atti sessuali omosessuali, e anche ai divorziati risposati, sempre tenendo in considerazione per ciascuno le circostanze particolari.

Erano in 50, lo scorso 25 maggio all’Università Gregoriana, scelti dalle conferenze episcopali di Francia, Germania e Svizzera per parlare dei temi del sinodo in un incontro a porte chiuse. A nessuno era concesso di parlare con i media, ma alcuni media erano stati invitati a prendere parte all’incontro, ed eventualmente a riportarne, fatta salva l’intesa di non citare chi aveva detto cosa, ma solo limitarsi a riassumere i contenuti dell’incontro.

L’incontro – si legge nell’introduzione – è stato diviso in tre parti: una riflessione sulle parole di Cristo riguardanti il matrimonio e il divorzio; una sulla sessualità come espressione di amore e di una “teologia dell’amore”; e sul dono della vita e una teologia narrativa, ovvero una teologia basata sull’esperienza personale, che sembra essere la vera novità del “Sinodo ombra.”

È stato il gesuita Alain Thomasset, professore di Teologia Morale al Centro Sévres di Parigi, ad introdurre il concetto di teologia narrativa, in un intervento su “Prendere in considerazione la storia e gli sviluppi biografici della vita morale e della cura pastorale della famiglia.”

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“L’interpretazione della dottrina delle azioni che sono intrinsecamente malvagie è apparentemente uno dei principali ostacoli alla pastorale delle famiglie, che determina il rifiuto della contraccezione artificiale, delle relazioni sessuali dei divorziati e risposati, e delle coppie omosessuali, anche se queste sono stabili.”

Ma questa dottrina – afferma – “sembra incomprensibile a molte persone e pastoralmente controproducente,” e dunque si deve mettere in atto un discernimento su una varietà di situazione, dato che “il riferimento etico obiettivo è solo uno dei temi (importante, ma non unico) del discernimento morale, che deve essere operato nella coscienza personale.”

Su queste basi, Thomasset propone una interpretazione degli atti umani “all’interno del contesto della tradizione cattolica,” che ha alcune conseguenze: che le relazioni sessuali tra persone risposate non siano in nessun modo intese come una colpa morale, e così “si aprirebbe all’accesso al Sacramento della Riconciliazione e dell’Eucarestia;” che le relazioni sessuali con l’uso di contraddizione non abortiva tra coppie sposate “non possa essere considerata come un peccato oggettivo;” e che alle coppie omosessuali stabili venga riconosciuta una riduzione del grado di malizia delle loro relazioni sessuali, e così “la loro responsabilità obiettiva e morale possa essere diminuita o anche eliminata.”

La prima parte del “Sinodo ombra” ha incluso gli interventi dei teologia Anne-Pellettier e Thomas Soelding, i quali hanno chiesto entrambi uno “sviluppo” della nozione di “matrimonio indissolubile” da parte della Chiesa cattolica.

Anne-Marie Pellettier, teologa francese che è stata anche insignita del Premio Ratzinger per la Teologia, sottolinea che “la tradizione cattolica sull’indissolubilità del matrimonio è basata sull’interpretazione disciplinare” di Matteo, 19 (Mose vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli per la durezza del vostro cuore), ma questo ha “un contenuto kerigmatico,” e cioè il fatto che “il vincolo coniugale, in termini in cui Gesù lo esprime, è legato alla vocazione di quanti, con il Battesimo, sono immersi nella morte e resurrezione di Cristo.” E – spiega la teologa francese – “la Chiesa Cattolica non ha mai cessato di difendere l’indissolubilità, mentre i costumi hanno ampiamente smentito il principio accettato dalle società cristiane.” In verità – conclude – “la vita coniugale ha molti più ostacoli di quanti sono ammessi dalla teologia del matrimonio.”

Da parte sua, Soeding ha detto che, mentre il matrimonio è indissolubile, il Sinodo della famiglia che si terrà in ottobre dovrebbe sviluppare “ una fedeltà alla volontà di Gesù, alla dottrina, alla moralità, alla vita del matrimonio.” E ha poi aggiunto che “più il modello cristiano di matrimonio diventa chiaro, prima sarà possibile trovare modalità per quelle persone che non possono celebrare tale matrimonio di poter vivere nella Chiesa come una coppia felice.”

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Proprio questa teologia del matrimonio deve essere rinnovata, sostiene Eberhard Schockenhoff. Questi non è un personaggio qualunque. Negli ultimi anni, la sua influenza sulla Chiesa tedesca è stata enorme. Dietro tutte le prese di posizioni sociologiche c’è sempre stato lui, che ha di fatto sposato molti dei temi portati avanti dall’associazione “Noi Siamo Chiesa.”

Il ragionamento di Schockenhoff è molto materialista, si basa sulle difficoltà della vita moderna, una tesi rinvigorita da citazioni dello psicanalista Erich Fromm e del sociologo neo-Marxista Theodor Adorno.

Sottolinea Schockenhoff che “si deve ammettere che l’amore può finire”, anche perché in fondo “l’irrevocabilità della scelta di sposarsi si basa su ciò che l’amore vuole,” e l’indissolubilità è da considerarsi piuttosto “una richiesta che gli sposi fanno a loro stessi, quando si fidano del loro amore.” Per tutto il resto, il primato è dato alla coscienza personale, con tutte le sue sfumature di verità.

Ma in fondo quale è la verità da raggiungere? Il contributo sulla teologia narrativa, o per meglio dire su “una teologia della biografia” del teologo gesuita Alain Thomasset mette in pratica in chiaro che non c’è una verità, ma tante verità.

Dal canto suo, François-Javier Amherdt, professore a Friburgo (Svizzera) ha messo in luce come un atto sessuale fuori del contesto del matrimoni “rimanga incompleto,” e sottolineato che “la fecondità è necessaria per esercitare pienamente la sessualità,” e poi si è chiesto cosa fare con le relazioni sessuali fori dal matrimonio. La risposta – secondo Amherdt – è di discernere a seconda delle situazioni, perché non tutte le situazione di convivenza sono la stessa cosa, e dunque da un punto di vista morale e pastorale queste relazioni “non possono essere completamente screditate,” anche perché le loro mancanze sono “dovute alla pressione del contesto e alla mancanza di riferimenti all’educazione dei sentimenti.”

Una “teologia della biografia” è stata poi sviluppata dalla teologa Eva Maria Faber, che ha voluto notare che la teologia del matrimonio si è per tradizione focalizate sul matrimonio come una vita di comunione, ma questo “a volte porta gli sposi ad essere considerati solo come una coppia,” escludendo di fatto gli individui, e d’altronde – commenta - la “promessa matrimoniale si riferisce a un futuro imprevedibile,” mentre “la fragilità dei matrimoni oggi emerge sempre più perché l’indissolubilità sociale del matrimonio non esiste più, e quindi avere un buon matrimonio è più difficile.”

La discussione che è seguita agli interventi ha enfatizzato che è “scorretto” chiamare il secondo matrimonio come “un peccato permanente” e che la riconciliazione è “irrunciabilmente” il percorso che uomini e donne devono seguire in tutte le situazioni della vita.”

La questione per divorziati e risposati che sono anche sessualmente attivi è che “non c’è possibilità di riconciliazione, è una strada senza uscita,” e questo “deve essere superato, in modo da non danneggiare ancora di più la credibilità della Chiesa quando parla dell’importanza della riconciliazione.”

Nella discussione, si è anche sottolineato che l’Eucarestia è “terapia e consolazione” e questo non dove essere messo da parte dal “simbolismo dell’unità della Chiesa.”

I testi fanno così comprendere di che pasta sarà il dibattito al prossimo sinodo dei vescovi. Ma soprattutto, lascia capire l’indirizzo generale che si vuole dare alla Chiesa.

Nel sinodo del 2014, la controversa relatio post disceptationem, fortemente sbilanciata su temi controversi come il riconoscimento delle unioni omosessuali e l’accesso alla comunione ai divorziati risposati, fu affossata proprio su un dato di fatto: mancavano riferimenti biblici e teologici. La relazione finale aveva mantenuto alcune note controverse, anche grazie alla decisione del Papa di pubblicare anche i paragrafi senza il consenso sinodale (ovvero, che non avevano raggiunto il consenso dei due terzi dell’assemblea), ma era stata arricchita con molti riferimenti biblici e teologici, gli unici che avessero ricevuto un consenso pressoché unanime.

Il sinodo 2015 ha un documento di lavoro che riprende i temi controversi (i paragrafi con meno voti sono stati ripresi nella loro interezza nell’instrumentum laboris), e da questi parte la campagna di quanti hanno fallito allo scorso sinodo.

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Quale è l’obiettivo finale? Scorrendo i testi, si chiede in pratica una rivoluzione teologica. Ovvero, di passare da una teologia fondata sul principio, sulla necessità di raggiungere la Salvezza seguendo la parola, ad una teologia che tenga conto della caducità umana. Per sintetizzare, il ragionamento sarebbe questo: visto che quello che chiede il Vangelo è ideale, ma gli uomini non possono raggiungerlo, allora cambiamo l’ideale. Un ragionamento che i cinquanta partecipanti al Sinodo nascosto fanno partire dalle basi teologiche, consapevoli che proprio quello era mancato al blitz dello scorso sinodo.

Questa teologia si basa su una narrativa che sottolinea come la realtà dell’essere umano è dato dal racconto che ognuno fa di sé. Ma è davvero questa la strada?

Questo è il tema che resta dietro ognuno degli interventi, che hanno tutti una base comune: dire chiaramente “no” ad una “teologia meramente astratta.” Il tema, appunto, della pastorale separata dalla dottrina, che già compariva nelle linee guida del Sinodo.