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Cristiani in Siria, la comunità più antica

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I cristiani in Siria sono quelli che gli Atti degli Apostoli ci hanno raccontato, sono quelli che hanno accolto e San Paolo, quelli che lo hanno accompagnato nella conversione. In Siria è presente la Chiesa sin dalle origini, li è nata la Chiesa.”

Monsignor Jean-Clément Jeanbart, Arcivescovo greco-melkita di Aleppo, lo ha raccontato durante la sua visita a Monreale. L’arcivescovo era stato invitato da Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale, per dare una testimonianza della tragica situazione della sua Chiesa in Siria, alla presenza dei giornalisti e dei sacerdoti della Arcidiocesi di Monreale che hanno riempito la sala del Palazzo arcivescovile.

Monsignor Jeanbart ha raccontato con commozione la situazione politica, economica e religiosa dell’intera regione, rispondendo alla fine alle domande dei giornalisti, a cui scherzosamente ha chiesto di essere prudenti nel loro lavoro.

 Ecco perchè i cristiani non voglino lasciare la Siria “300.000 su una popolazione di 2 milioni ma  non vogliamo in nessun caso lasciare la Siria, e a questo aggiungo con fermezza, io in quanto pastore di questa Chiesa non lascerò mai questo popolo, morirò ma non lascerò i miei fedeli. Sono infatti convinto che il Signore mi chiederà conto del mio impegno, del mio coraggio e della mia speranza per questa porzione del suo popolo che mi è stato affidato.”

Non ha mai avuto la tentazione di andare via?

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“Devo ammettere che c’è stato un momento, all’inizio della guerra in cui ho pensato di andare via, ma il Signore mi è stato vicino e oggi a 71 anni mi sento più giovane di almeno 15 anni, non temo la delusione e lo scoraggiamento, so che il Signore si prende cura di me e dei suoi fedeli.”

L’arcivescovo ha raccontato che “Aleppo, la più antica città, era il vanto di bellezza cultura e storia di tutta la Siria e per quanto io ne possa parlare con orgoglio non sarà mai abbastanza per quanto essa realmente meriti. La Siria era un mosaico di religioni e riti, più di 15 gruppi di appartenenza religiosa ed etnica  che vi hanno convissuto per secoli, e il governo riusciva a garantire a tutti una certa libertà di espressione e condizioni economiche accettabili. Tutte le scuole pubbliche erano gratuite e tutti potevano permettersi una casa. Certo i poveri c’erano ma non c’era la miseria.”

Una città universitaria con “circa un milione e mezzo di allievi, con più di 150 mila studenti che erano accolti gratuitamente e ben 15 mila alloggiati nella città universitaria al costo di un euro al mese.”

Poi è arrivata la così detta “primavera araba”, ma “per noi non è stata una primavera che voleva portare la democrazia. Certo anche noi speravamo, visto che vivevamo in un regime semi dittatoriale, in cui il potere era centrato nelle mani del presidente. Ma egli stesso è rimasto travolto nel desiderio di allargare gli spazi di democrazia, ma che i moti rivoluzionari hanno distrutto.”

L’arcivescovo pone un quesito. “La rivoluzione è contro chi? Contro se stessi! Quali sono i costi di questa democrazia? Aleppo era una città abituata a vivere nella convivialità fra tutte le culture. Non c’era il Canale di Suez ma era il porto di Aleppo l’incrocio di tutti gli scambi. C’erano colonie di italiani francesi tedeschi austriaci olandesi e inglesi, e il dialogo e il rispetto reciproco erano alla base delle leggi di convivenza. Adesso è tutto distrutto.”

 

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Il problema è essenzialmente economico: “In Siria si sono concentrati molti, tanti interessi, sia delle potenze economiche occidentali: Francia, Inghilterra, America,  ecc., che orientali: quelle legate all’Islam o almeno ad un modo particolare di concepire l’Islam. Vi sono poi gli interessi di Israele e della Turchia che vagheggia un ritorno all’impero ottomano seppur in chiave moderna, degli Emirati Arabi per via del gasdotto che la potrebbe attraversare.”