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Dal Messico, una richiesta di aiuto a Papa Francesco

Pellegrini messicani in Piazza San Pietro | Pellegrini messicani in piazza San Pietro, cantano Pellegrini messicani in Piazza San Pietro | Pellegrini messicani in piazza San Pietro, cantano "Il Messico sa come farsi sentire", 30 aprile 2011 | Ernesto Gygax / ACI Group

Non è ancora chiara la dinamica che ha portato alla scomparsa di 43 studenti della scuola Ayotzinapa, in Messico, prima presi in custodia dalla polizia e poi scomparsi tra il 26 e il 27 settembre 2014. Papa Francesco li ha ricordati parlando a braccio al termine dell’Angelus del 29 ottobre 2014. E proprio a Papa Francesco si rivolgono le organizzazioni civili dei migranti messicani, perché possa incontrare le famiglie degli studenti durante il viaggio negli Stati Uniti.

Nella lettera, le organizzazioni si rivolgono al Papa come “un sacerdote latinoamericano” che “conosce la realtà del nostro popolo,” e consapevoli che “il Messico è nelle sua preghiere,” tanto che “anche se non c’è in agenda” una visita del Papa in Messico, quest’ultima ha certamente “un luogo speciale nella sua agenda dell’anima.”

Gli studenti scomparsi, 43 in tutto, frequentavano la scuola per insegnanti Ayotzinapa, un centro rurale di educazione al’insegnamento che si rivolge ai poveri e agli indigeni.

Erano oltre cento gli studenti che si erano recati a Iguala, nello Stato messicano di Guerrero, per protestare contro il governo durante una conferenza tenuta dalla moglie del sindaco della città. Furono intercettati dalla polizia locale, e ci fu uno scontro, i cui esiti sono ancora oscuri. Le investigazioni ufficiali hanno concluso che una volta che gli studenti sono stati presi in custodia, sono stati poi consegnati a Guerrors Unidos, una sigla criminale, e presumibilmente uccisi. Secondo le autorità messicane, responsabili del rapimento sono José Luis Abarca Velàzquez, sindaco di Iguala, e sua moglie Marìa de los Angeles Pineda Villa. Entrambi fuggiti dopo i fatti, e latitanti per circa un mese, sono stati arrestati, mentre Felipe Flores Velàzquez, capo della polizia, è ancora fuggitivo.

Il caso ha destato enorme commozione popolare, e proteste molto dure contro gli edifici del governo. A nove mesi dalla vicenda, ancora non si conosce la sorte dei 43 studenti. A novembre 2014, sono state ritrovate a Cocula, nello Stato di Guerrero, diverse sacche di plastica che contengono resti umani, e che potrebbero essere quelle degli studenti. Solo i resti di uno di loro sono stati identificati fino ad adesso.

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Per questo motivo, le organizzazioni di migranti ricordano al Papa le vicende del 26 e 27 settembre 2014, ne sottolineano il bilancio di “3 morti, 43 scomparsi e una ventina di feriti”, e mettono in luce che ormai la parola “Ayotzinapa” viene usata “per riferirsi alle crisi umanitarie che si vive in lungo e largo per il territorio messicano.”

Sono milioni i messicani “fuori e dentro le frontiere” che vivono questo dolore come “il loro proprio dolore” e per questo le organizzazioni di migranti chiedono al Papa “una udienza con una commissione di rappresentanti del villaggio ferito di Ayotzinapa e alcuni di noi,” magari proprio a Philadelphia, dove già i migranti e famigliari degli studenti hanno avuto modo di riunirsi nella City Hall.”

“Riteniamo che l’udienza con la delegazione in viaggio da Ayotzinapa è logica, naturale e necessaria. Per questo, non ci stancheremo mai di chiedere giustizia per il crimine atroce commesso contro Julio César Mondragòn, studente della Normale Ayotzinapa, che in quel fatidico massacro fu scuoiato vivo e privato degli occhi,” scrivono le associazioni.

Che puntano il dito sulla situazione messicana, sottolineano che “al crimine di Ayotzinaca” se ne sommano, tanto che già 85 mila persone sono state assassinate sotto il governo di Felipe Calderon e 8 mila sono scomparsi sotto il governo di Enri­que Peña Nieto. L’ultimo caso è avvenuto la scorsa settimana, quando la poli­zia del Chia­pas ha arre­stato 48 stu­denti della Escuela Nor­mal Doc­tor Manuel Vela­sco Sua­rez, del comune di Hue­hue­tan mentre cercavano di pren­dere un auto­bus per andare alla mani­fe­sta­zione del giorno dopo. Ai fami­gliari è stato impe­dito di vederli, e subito la situazione ha ricondotto ad Ayotzinapa.

Il Papa ne parlò all’Angelus del 29 ottobre, chiedendo una preghiera e sottolineando la sua vicinanza alla popolazione del Messico “che sta soffrendo per la perdita di quelli studenti.” Facendo seguito alle parole del Papa, il 12 novembre 2014, i vescovi messicani inviarono un messaggio intitolato “Basta Ya!” in cui chiedevano che si fermasse il clima di violenza nel Paese.

“Con tristezza riconosciamo che la situazione nel Paese è peggiorata, e che è sfociata in una vera crisi nazionale. Molte persone vivono sottomesse dalla paura, dalla mancanza di fiducia per il fatto di rimanere indifesi di fronte alla minaccia di gruppi criminali e, in qualche caso, la biasimevole corruzione delle autorità,” scrivevano i vescovi.

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