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Diplomazia pontificia, il Cardinale Parolin in Lituania con un occhio all’Ucraina

Due giorni in Lituania per il Cardinale Parolin, che vi torna per ordinare vescovo Visvaldas Kulbokas, nuovo nunzio papale in Ucraina. Si troverà ad affrontare delle situazioni spinose

Parolin, Nauseda | Il presidente lituano Nauseda e il Cardinale Parolin durante il bilaterale del 13 agosto 2021 a Vilnius | Presidenza della Repubblica di Lituania Parolin, Nauseda | Il presidente lituano Nauseda e il Cardinale Parolin durante il bilaterale del 13 agosto 2021 a Vilnius | Presidenza della Repubblica di Lituania

Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è in Lituania per una visita ufficiale che si unisce alla ordinazione episcopale di Visvaldas Kulbokas. Lituano, monsignor Kulbokas è stato nominato lo scorso 15 giugno nunzio in Ucraina, anche per la sua conoscenza del Paese, di cui si era occupato quando era in servizio presso la Seconda Sezione della Segreteria di Stato. In Ucraina, il neo arcivescovo Kulbokas sostituisce l’arcivescovo Claudio Gugerotti, che è stato nominato nunzio nel Regno Unito, e arriverà in un momento particolarmente importante per la nazione: la visita del Patriarca Bartolomeo I, per i trenta anni dell’indipendenza dell’Ucraina, è anche un viaggio dai forti contorni diplomatici, osservato con attenzione dalla Russia, interessata anche per via dell’autocefalia della Chiesa Ortodossa Ucraina concessa dal Patriarca di Costantinopoli ma fortemente contestata dal Patriarcato di Mosca.

Cosa farà allora il Patriarca Bartolomeo in Ucraina? Alcune possibili tappe del viaggio saranno oggetto di grande interesse internazionale. Mentre è sempre oggetto internazionale il Libano, laddove il Patriarca Rai non manca di pungolare le forze politiche. Lo stesso ha fatto il Cardinale Rosa Chavez in Salvador.

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Il cardinale Pietro Parolin in Lituania

Torna in Lituania il Cardinale Pietro Parolin, che vi era già stato nel 2016 in una visita che aveva anticipato il viaggio di Papa Francesco nel Baltico nel 2018. L’ordinazione episcopale di Visvaldas Kulbokas il 14 agosto è stata anche l’occasione per un viaggio prolungato, in due giorni, con degli incontri bilaterali ad alto livello che hanno visto il capo della diplomazia vaticana prima in dialogo con il presidente Gitanas Nausėda, il presidente del Parlamento (Seimas), Viktorija Čmilyte-Nielsen, il primo ministro Ingrida Šimonytė, e il ministro degli Esteri Gabriel Landsbergis.

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Gli incontri con il presidente e il ministro degli Esteri sono stati riferiti dai siti istituzionale. Parlando con il presidente Nauseda, nella mattina del 13 agosto, il Cardinale Parolin ha discusso della situazione della pandemia in Lituania e nel mondo e della necessità di condividere i vaccini, nonché del fenomeno dell’immigrazione clandestina e della situazione in Bielorussia.

La presidenza lituana riporta che il presidente Nauseda ha affermato: “In questi tempi di incertezza, l’autorità morale della Santa Sede è molto rilevante per la Lituania e per il mondo intero. Il sostegno della Santa Sede ai diritti umani, allo Stato di diritto, ai valori della democrazia è una forza morale che sempre, anche in questi tempi difficili, ricorda al mondo che l’obiettivo della politica e delle relazioni internazionali è la pace e il benessere umano, non la sopravvivenza di uno o l’altro regime”.

Il Ministero degli Esteri lituano ha invece sottolineato che, nell’incontro tra il Cardinale Parolin e il ministro degli Esteri Landsbergis, si è parlato di migrazione illegale, diritti umani nella regione e nel mondo, la situazione in Bielorussia e le relazioni con la Cina.

Secondo il ministero degli Esteri, Landsbergis avrebbe affermato che “la Lituania ha dovuto affrontare un attacco ibrido sostenuto dal regime bielorusso, in cui i migranti vengono usati come arma. Questo è del tutto inaccettabile sia dal punto di vista del diritto internazionale che dal punto di vista morale". Il ministro degli Esteri ha anche sottolineato che “i nostri responsabili stanno lavorando duramente per stabilizzare la situazione", e che la Lituania è grata “agli Stati membri dell'Unione europea e ad altri partner, istituzioni dell'UE, che hanno mostrato solidarietà e hanno anche aiutato concretamente la Lituania in questa difficile situazione. Tuttavia, continuiamo a invitare i nostri partner a contribuire agli aiuti umanitari al fine di creare condizioni adeguate nei campi per i migranti che hanno attraversato illegalmente il confine".

L’ordinazione episcopale del nuovo nunzio in Ucraina

Nominato nunzio in Ucraina, il neo arcivescovo Kulbokas ha affidato i suoi pensieri sul suo lavoro e sul difficile ministero che lo attende in una intervista ad ampio raggio a Vatican News in lingua lituana.

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Monsignor Kulbokas, nato nel 1974, ha raccontato dell’inaspettato invito all’Accademia Diplomatica, la “scuola per ambasciatori” del Papa, e di essere entrato nel servizio diplomatico nel 2004, lavorando prima per la nunziatura in Libano, e poi per quelle nei Paesi Bassi e in Russia e quindi in Segreteria di Stato vaticana, prima di essere inviato alla nunziatura in Kenya.

Il neo nunzio in Ucraina ha lavorato dal 2012 al 2020 nella Seconda Sezione per i Rapporti con gli Stati, e uno dei suoi principali impegni è stato proprio quello dei rapporti con l’Ucraina, che è stato uno dei motivi decisivi per la sua nomina ad ambasciatore del Papa a Kiev.

“Dopo aver lavorato in Vaticano – ha detto monsignor Kulbokas - so cosa vuole il Santo Padre. Indubbiamente, le sue aspettative sono prima di tutto la pace, pace non ad ogni costo, ma solo pace. La Chiesa può contribuire a questo. Deve lavorare per la pace. Non abbiamo molti strumenti politici, ma dobbiamo fare uno sforzo. Quindi, naturalmente, il Santo Padre mi manda a sforzarmi il più possibile per la pace, e anche per l'unità della Chiesa, per l'unità interiore e le buone relazioni con le altre Chiese cristiane, per rendere queste relazioni come fraterne il più possibile. Queste sono le due cose principali”.

Monsignor Kulbokas è anche stato l’interprete del Papa nell’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill a Cuba nel 2016.

Il Cardinale Parolin al nuovo nunzio: “Fai conoscere pace e riconciliazione in Ucraina”

Il mandato che il Cardinale Parolin consegna al nunzio in Ucraina Visvaldas Kulbokas è quello di “far conoscere la parola di pace e riconciliazione del Santo Padre” in una nazione dove vivono diverse culture e dove da tempo perdura un conflitto che non accenna a terminare.

Nel giorno di San Massimiliano Kolbe, il Cardinale Parolin ordina Kulbokas arcivescovo. È stato, in Segreteria di Stato, colui che si occupava del dossier dell’Ucraina, e ora viene inviato a Kiev dopo un periodo di un anno nella nunziatura in Kenya.

Il Cardinale Parolin sottolinea prima di tutto che il nunzio è un vescovo che “riceve il compito di annunciare il Vangelo con ogni sapienza e pazienza e di custodire e trasmettere fedelmente quello che ha ricevuto – il deposito della fede”. Ma è anche un “ambasciatore” che riceve “il compito specifico di rappresentare il Papa e la Santa Sede presso le Chiese, gli Stati e le Organizzazioni internazionali alle quali è inviato, agendo con impegno, costanza e zelo apostolico, per rinsaldare la comunione tra la Chiesa Universale e quelle particolari, informando il Santo Padre circa la vita delle Chiese, con le loro speranze e difficoltà, e facendovi giungere l’incoraggiamento e la voce del Successore di Pietro”.

Per il Cardinale Parolin, l’Ucraina è una sfida particolare, perché lì “da secoli si trovano a contatto l’una con l’altra diverse comunità ecclesiali cattoliche, di rito greco-bizantino e di rito latino e dove una gran parte della popolazione è costituita da fedeli ortodossi. L’Ucraina è un Paese dove convivono ricche e differenziate culture, che comprende anche cittadini di diversa provenienza etnica, ma che soffre a causa di conflitti difficili a spegnersi completamente”.

Compito del nuovo nunzio sarà dunque quello di “far conoscere la parola di pace e di riconciliazione del Santo Padre, affinché tutti si impegnino con generosità nella ricerca di uno stabile terreno di intesa”, in quanto questi “sono passi necessari per porre termine agli aspri conflitti, che causano numerosi lutti e bruciano ingenti risorse, e per poter quindi aprire una stagione nuova di collaborazione e di rinascita, dove prevalga la ricerca del bene comune, che è il bene di ciascuno e di tutti”.

Il Cardinale Parolin non nasconde che il compito del nunzio è difficile, ha bisogno di essere irrobustito “dall’armatura che la preghiera conferisce all’anima”, perhcé solo così è possibile “comprendere le vere necessità a cui dare risposta e le priorità da perseguire e ti sarà possibile agire come vero Pastore ad imitazione del Buon Pastore”.

Il Segretario di Stato indica nel decalogo sull’identità e la condotta del nunzio tratteggiato dal Papa nell’incontro con i rappresentanti pontifici del 2019

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“un prontuario per la tua vita di Rappresentante Pontificio, per vivere i tuoi doveri e adempiere alle tue funzioni con la gioia dell’uomo di Chiesa che, riconoscendosi bisognoso della benedizione divina, cerca di ottenerla mediante una vita santa”.

Gli impegni in Ucraina. La prossima visita di Bartolomeo

Kulbokas arriverà in una Ucraina profondamente al centro dell’attenzione del Papa. Dal Maidan del 2013, il Papa ha seguito costantemente la situazione in Ucraina, ha lanciato l’iniziativa “Il Papa per l’Ucraina” (la colletta straordinaria nel 2017), mentre i rappresentanti della Santa Sede hanno visitato a più riprese il Paese (il Cardinale Pietro Parolinil Cardinale Sandri) e il Papa è arrivato a convocare i vescovi del Sinodo Greco Cattolico Ucraino per un incontro interdicasteriale in Vaticano nel luglio 2019, senza aver paura di definire “guerra” il conflitto che imperversava e imperversa ancora nella nazione, con autoproclamate repubbliche indipendenti e una Crimea ormai annessa alla Russia.

La situazione si è inasprita con il cosiddetto “scisma ortodosso”, causato dalla decisione del Patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli di concedere l’autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina, considerata dal patriarcato di Mosca come suo territorio canonico. Ora, il Patriarca Bartolomeo è atteso in Ucraina, e saranno gli effetti di questo viaggio il primo banco di prova diplomatico per il nuovo nunzio.

Bartolomeo I sarà in Ucraina dal 20 al 24 agosto. Il viaggio, al di là dei possibili significati politici, sembra essere anche l’espressione di una volontà pastorale. Incurante del fatto che Mosca lo accusi di voler agire da Papa, Bartolomeo – il cui entourage sottolinea che avrebbe potuto più e più volte già in precedenza consentire agli ucraini la creazione di una Chiesa autocefale – non mancherà di incontrare anche le altre Chiese, nella consapevolezza che comunque la sua decisione ha dato respiro ad una popolazione in cerca di identità nazionale, esasperata dalla dominazione sovietica prima e quindi da un conflitto che viene percepito come una invasione estera.

Cosa farà Bartolomeo durante il suo soggiorno? Il 20 agosto è solo il giorno dell’arrivo, previsto in tarda serata.

Quindi, il 21 agosto, Bartolomeo I andrà a deporre prima di tutto fiori al monumento delle vittime dell’Holodomor del 1923 – 1933. L’Holodomor è lo sterminio della popolazione ucraina, avvenuto attraverso una carestia provocata su ordine di Stalin.

Quindi, si prevede una preghiera breve in piazza San Michele, e l’incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Zelensky recentemente ha dimostrato molto attivismo nel dialogare con la Santa Sede, ribadendo nei comunicati ufficiali (dopo una telefonata al Papa e dopo uno scambio tra il suo capo ufficio di presidenza e il Cardinale Parolin) anche l’intenzione di promuovere la beatificazione dell’arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina Andriy Sheptytsky. Un modo per mostrare una vicinanza alla Chiesa Greco Cattolica Ucraina, che fino ad ora si è chiamata fuori sia dai temi dello scisma ortodosso che da quelli politici, pur manifestando simpatia per ogni iniziativa di tipo nazionale.

Dopo l’incontro con Zelensky e il pranzo ufficiale, Bartolomeo dovrebbe incontrare con il presidente della Verkhovna Rada (il Parlamento ucraino) e quindi una Divina Liturgia.

Il 22 agosto, il Patriarca di Costantinopoli celebrerà la Divina Liturgia insieme al metropolita Epifanyi di Kiev, il capo della Chiesa ortodossa ucraina. Quindi, ci potrebbe essere un incontro con i figli delle vittime del conflitto russo-ucraino, e un incontro (pranzo di lavoro) con le autorità civili di Ucraina.

Un altro appuntamento dovrebbe essere la partecipazione ad una azione ecologica con piantumazione di alberi, cui farà seguito un incontro con il Primo Ministro dell’Ucraina Denys Shmyhal, che recentemente è stato in visita in Vaticano. In seraat, Bartolomeo parteciperà a un ricevimento ufficiale, in cui gli dovrebbe essere conferita una laurea “honoris causa”.

Il 23 agosto, la giornata di Bartolomeo dovrebbe cominciare con una visita all’ambasciata turca e poi una all’ambasciata greca, per incontrare i rappresentanti governativi, ma anche i membri della diaspora greca.

Nel pomeriggio, è previsto un incontro con i membri del Consiglio Pan-Ucraino delle Chiese e Organizzazioni religiose, quindi con la società biblica ucraina, e infine con la Chiesa Greco Cattolica Ucraina.

Il 24 agosto è il giorno del congedo. Il Patriarca Bartolomeo parteciperà alle celebrazioni per l’indipendenza (l’Ucraina si proclamò indipendente il 24 agosto 1991), inclusa la recita di una “Preghiera per l’Ucraina”. Tra le celebrazioni, previsto anche un pranzo. Quindi, il Patriarca in serata farà ritorno a Istanbul.

Se questi saranno gli appuntamenti confermati, sarà da vedere come reagirà Mosca a questo viaggio. E la diplomazia pontificia potrebbe avere un ruolo importante, se non altro come interprete terzo di una situazione che è diventata complicata.

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El Salvador, cosa ha detto il Cardinale Gregorio Rosa Chavez

È stata una intervista dura, e dibattuta, quella che il Cardinale Gregorio Rosa Chavez, ausiliare di San Salvador, ha concesso a Vatican News, descrivendo la situazione del Paese.

Il Cardinale Rosa Chavez ha sottolineato che il Paese “vive un terremoto politico”, che si aggiunge alla pandemia. Il Paese – ha detto il Cardinale – “vive una crisi politica molto grave, perché non abbiamo in questo momento uno Stato di dirittoche funzioni, non abbiamo l’indipendenza dei poteri, non ci sono figure politiche in cui confidare, non abbiamo una legge che dobbiamo rispettare, c’è più paura di quanta non ci sia legge, e dunque non c’è vera giustizia”.

Non solo. Il porporato ha anche detto che non c’è “nemmeno tolleranza con chi la pensa in maniera differentemente”, mentre c’è un settore che si dice “contento perché gli sembra che alla fine si sia posto ordine”.

Il Cardinale si dice preoccupato per il futuro del Salvador, e che la data chiave sarà il 15 settembre, quando si celebrerà il Bicentenario dell’Indipendenza del Paese, quando il presidente parlerà “di quale è il suo progetto per il Paese, in che direzione dobbiamo andare, e così allora cammineremo”.

Il Cardinale ha notato che al momento “c’è anche una preoccupazione internazionale, perché si sente che siamo un Paese in cui le istituzioni democratiche non funzionano realmente, non c’è una separazione di poteri e una cultura democratica”. Ma questo – ha detto il Cardinale – “può e deve cambiare”.

Sono parole che non hanno lasciato indifferenti, e che hanno suscitato reazioni molto dure. L’ultimo è stato Walter Araujo, leader del pArtito Nuevas Ideas, che ha parlato spesso esplicitamente di “preti rossi”.

Nicaragua, la denuncia della Commissione Giustizia e Pace

La Commissione Giustizia e Pace dell’arcidiocesi di Managua, capitale del Nicaragua, ha denunciato “la grave situazione di persecuzione” che sta avvenendo nel Paese in vista delle prossime elezioni di novembre, scatenate dal presidente Daniel Ortega e che hanno incluso anche “minacce alla Chiesa cattolica, offese ai suoi sacerdoti e vescovi, limitazioni nel rilascio di visti o della residenza a sacerdoti stranieri, le vessazioni di parrocchiani laici e altre azioni illegale e intimidatorie”.

Tutto questo – scrive la commissione – impedisce al popolo nicaraguense “di esprimere la propria preferenza nel voto di novembre”, perché “non ci sono le condizioni per elezioni democratiche”, mentre la commissione lancia anche l’allarme sulla nuova “ondata di migrazioni nicaraguensi, per lo più giovani, che sono costretti a lasciare la loro patria a causa dell'insicurezza, della disoccupazione, dell'incertezza sul futuro del Paese".

L’agenzia Fides, della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, nota che la presidenza Ortega: detiene sette candidati alla presidenza; ha inibito Berenice Quezada, candidata alla vicepresidenza ufficialmente iscritta al Consiglio Supremo Elettorale (CSE); e ha cancellato la personalità giuridica del partito Cittadini per la Libertà (CxL)”.

Secondo varie organizzazioni internazionali, l’amministrazione Ortega tiene più di 140 prigionieri politici, tra i quali “più di 30 attivisti, candidati, intellettuali, ex guerriglieri sandinisti, uomini d'affari, ex diplomatici e giornalisti che sono stati imprigionati nel contesto del processo elettorale che dovrebbe culminare il 7 novembre”.
                                                FOCUS MEDIO ORIENTE

Libano, il presidente difende il patriarca Rai

Il Cardinale Bechara Rai, patriarca dei maroniti, ha ancora una volta criticato pubblicamente Hezbollah, suscitando varie violente reazioni che gli sono valse la difesa del presidente del Libano Michel Aoun.

Il Patriarca Bechara Rai aveva espresso le sue critiche nella omelia dell’8 agosto, a seguito di un conflitto tra i confini tra Israele e Hezbollah, sottolieando che nessun gruppo dovrebbe decidere sulla guerra e sulla pace e chiedendo all’esercito di fermare il lancio di razzi dal Sud.

Le parole del Cardinale Rai non sono passate inosservate e hanno subito critiche, ma il presidente Aoun (maronita e alleato di Hezbollah) ha comunque difeso il patriarca, sottolineando che tutto ciò che aveva detto rientrava nel diritto alla libertà di espressione in una telefonata personale avuta con lo stesso Cardinale. Per l’esattezza, il Cardinale Rai era stato accusato di sionismo, in particolare per aver detto che “mentre il Libano non ha ancora deciso di fare pace con Israele, non ha nemmeno deciso di andare in guerra, e il Libano non vuole essere intrappolato in azioni militari che vogliono suscitare una distruttiva risposta da parte di Israele”.