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Dopo Papa Francesco in Lituania, “ora dobbiamo essere quelli che danno la vita”

Arcivescovo di Kaunas e Papa Francesco | L'arcivescovo di Kaunas, Virbalas, con Papa Francesco al termine della Messa a Kaunas, 23 settembre 2018 | popieziausvizitas.lt Arcivescovo di Kaunas e Papa Francesco | L'arcivescovo di Kaunas, Virbalas, con Papa Francesco al termine della Messa a Kaunas, 23 settembre 2018 | popieziausvizitas.lt

L’impegno comincia sempre dopo. Così, dopo il viaggio di Papa Francesco, la messa a Kaunas davanti a 100 mila persone, l’entusiasmo per gli incontri, è il momento di impegnarsi ancora una volta a non essere una Chiesa di funzionari, ad essere “coloro che danno la vita”. Lo racconta ad ACI Stampa l’arcivescovo Llonginas Virbalas di Kaunas, gesuita.

Quale è stato per lei il significato più importante della visita di Papa Francesco a Kaunas, nella sua città?

Sento che siamo veramente tutti più arricchiti, e non solo per la presenza con il Santo Padre. Certo, dove è il Papa è la Chiesa, e sentiamo questo legame. Ma è stato anche quello che il Papa ci diceva, incoraggiandoci ad essere quelli che danno la vita, a continuare il nostro sforzo per gli altri in una Chiesa che va in uscita. Papa Francesco ha sempre, in questi giorni in Lituania, cercato di mettere in risalto la speranza, perché Gesù è la nostra speranza. E c’è bisogno di speranza a Kaunas, perché in molti sono partiti. Vilnius non ha sempre avuto molti emigranti, ma Kaunas sì, e per mantenere il legame tra le famiglie e i membri della famiglia è necessaria la speranza.

Sull’altare, a Kaunas, c’era esposta l’icona di Nostra Signora di Trakai, per la prima volta così distante dal suo santuario. Perché avete scelto quella icona?

Prima di tutto, è il 300esimo anniversario dell’incoronazione della Madonna di Trakai come protettrice della Lituania. Quindi, Trakai è sede del primo Granducato Lituano, e il granduca Vytautas è stato legato a Kaunas, vi ha fondato le prime Chiese. Per questo c’è un legame molto forte.

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A Kaunas c’era anche uno dei pochissimi seminari ammessi nell’Unione Sovietica…

Sì, c’era questo seminario a Kaunas e quello di Riga, in Lettonia. La presenza del seminario ha un significato enorme, perché non si può immaginare la vita della Chiesa locale senza i sacerdoti che sono stati preparati a Kaunas. La vita nel seminario era inizialmente molto difficile, gli studenti viveano persino in 10-15 in una stanza sola. Ogni anno volevano entrare in seminario 50 – 60 persone, ma le autorità sovietiche garantivano l’accesso solo a 5. Poi, negli Anni Novanta, dopo il crollo del comunismo, ci sono stati periodi in cui c’erano anche 250 seminaristi. Ma i libri di studio non c’erano, specialmente in lingua lituana, e se ne trovavano pochissimi in tedesco e in polacco. La maggioranza li abbiamo trascritti con la macchina da scrivere. In questo modo, seminaristi e suore hanno studiato. Non era permesso nemmeno uscire dall’unione sovietica, era il governo che decideva chi poteva studiare. Io stesso ho aspettato per quattro anni il permesso di studiare fuori. D’altra parte, però, si sentiva fortissimo l’amore dei fedeli, che cercavano di aiutare i seminaristi.

Lei è gesuita, era gesuita anche il suo predecessore, l’arcivescovo Sigitas Tamkevicius. Quanto è stato importante il ruolo dei gesuiti in Lituania?

È stato importante come seconda evangelizzazione, dopo il Battesimo della Lituania, e in particolare dopo la Riforma, quando il ruolo dei Gesuiti è stato importantissimo nella nazione, specialmente nell’educazione. Le missioni culturali dei Gesuiti, con parecchi collegi, con missioni di arte, teatro, musica e biblioteche, hanno contribuito a far ritornare la Lituania ad essere un Paese cattolico dopo la Riforma, sviluppando anche devozioni. In più, c’è un gesuita che h fatto un dizionario di polacco-lituano-latino che è ancora oggi una fonte preziosa per conoscere la lingua di quel tempo. Quando la Compagnia del Gesù è stata sospesa, poi, è comunque rimasta attiva in questa parte della provincia lituana, in Lettonia, e Bielorussia, e così è stato portato avanti il lavoro.

Come è stato l’incontro di Papa Francesco con i Gesuiti a Vilnius, cui lei ha partecipato?

È stato un incontro cordiale. Papa Francesco, come gesuita e come ex provinciale, conosce bene la spiritualità e la vita dei Gesuiti, e così abbiamo potuto parlare di quello che ci unisce. Ma abbiamo potuto parlare anche della vita, perché erano presenti gesuiti di arie età, da quelli più anziani a quelli in formazione. Papa Francesco ha sottolineato che è importante ascoltarsi gli uni gli altri, che i vecchi ascoltino i giovani, e i giovani siano attenti alle necessità dei vecchi. Si è parlato anche di educazione, perché i Gesuiti in Lituania hanno tre scuole. Papa Francesco ha invitato ad una educazione integrale delle persone, da formare non solo nel ragionamento, ma anche nel cuore e nelle azioni.

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C’è stato anche un momento più privato, il pranzo con i vescovi locali dopo la Messa a Kaunas. Di cosa avete parlato?

Abbiamo chiesto al Papa dell’accordo della Cina, e in particolare della situazione della Chiesa in Cina e della situazione della Chiesa in Vietnam. Il Papa ha notato, tra le altre cose, che in Vietnam ci sono molti seminaristi, di più di quanti ce ne siano in Lituania.

Ora quale è la sfida?

Con tutto il cuore dobbiamo accogliere le parole che ci ha detto il Papa, e in particolare l’invito ai sacerdoti che non possiamo essere solo funzionari. Dobbiamo ripensarci, dobbiamo andare dalle persone non solo per i servizi religiosi, ma per essere con loro. Vale per tutte le Chiese locali, non solo per noi.