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Giovanni Paolo II, un santo da imitare

Wlodzimierz Redzioch | Wlodzimierz Redzioch posa con il suo libro | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa Wlodzimierz Redzioch | Wlodzimierz Redzioch posa con il suo libro | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa

Perché raccontare Giovanni Paolo II oggi? “Perché i santi ci sono per imitarli. E ognuno di noi può cercare di imitare San Giovanni Paolo II in qualche cosa. Nella preghiera. Nel modo di vivere la Messa. Nei rapporti con gli altri.” Wlodzimierz Redzioch non ha dubbi. Per anni collaboratore dell’Osservatore Romano di lingua polacca, racconta di aver conosciuto San Giovanni Paolo II quando questi è diventato Papa. E ne è rimasto conquistato. Ha scritto un libro, “Accanto a Giovanni Paolo II,” da poco pubblicato in lingua inglese per i tipi della Ignatius Press con il titolo “Stories about John Paul II.” Il libro raccoglie 22 interviste a personaggi che hanno incontrato Giovanni Paolo II. Uno di questi è un testimone di eccezione: Benedetto XVI, Papa emerito e per anni tra i primissimi collaboratori del Papa polacco.

Cosa c’era di così particolare nel rapporto tra Giovanni Paolo II e il Cardinal Joseph Ratzinger?

Mi ero detto che qualsiasi libro senza la testimonianza di questo collaboratore, che è diventato il suo successore, sarebbe incompleto. Così ho chiesto l’intervista. Dopo vari tentennamenti, il Papa emerito ha detto sì. Mi ha mandato le risposte alle domande in tedesco. Ci sono stati giorni di ansia: in 12 pagine chissà cosa ha risposto… Ma il fatto era che aveva scritto in tedesco. Mi sono chiesto perché. E ne ho chiesto ragione. Mi hanno risposto che il Papa emerito usa la sua lingua materna in due circostanze: quando vuole essere molto preciso, e lui al cento per cento è sicuro del suo tedesco. E quando parla dal cuore, quando vuole parlare dei suoi sentimenti. E infatti la sua testimonianza racconta dell’amicizia e dell’affetto che ha caratterizzato l’incontro tra queste due persone.

Cosa avresti raccontato se tu fossi stata una delle persone intervistate nel libro?

Nei tempi comunisti non è che avevamo tanta possibilità di seguire e conoscere tanti pastori. Io ero a Parigi quando Wojtyla è stato eletto, e per me prima di tutto era un grande fatto patriottico. Quando sono arrivato a Roma, ho scoperto dunque questo polacco, questo mio connazionale che è diventato Papa. E sono due le circostanze che me lo hanno atto conoscere. La prima, quando portavo i pellegrini dal Papa per le udienze e di questo ho già parlato un po’ di questo calore umano e… il Papa aveva una memoria fenomenale. Noi ci scordiamo gli incontri fugaci, di pochi minuti… lui li ricordava per anni. La seconda circostanza, le Messe nella cappella privata. Il Wojtyla sacerdote celebrava la Messa con una intensità tale che non ho mai visto in nessuno. Lì avvertivi la dimensione trascendentale della realtà. Io ho capito che è un mistico, è un uomo che riusciva a parlare con Dio, che mi metteva quasi in soggezione in quei momenti, perché io sforzandomi di pregare non riuscivo a entrare nel rapporto così stretto con Dio come faceva Wojtyla.

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C’è differenza tra il Giovanni Paolo visto da te e quello raccontato dai personaggi che hai intervistato?

Ognuna delle persone intervistate (sono 22) danno una sfaccettatura di Giovanni Paolo II, fino a farne un ritratto ampio. Ma nessuno lo completa. Mi ha colpito monsignor Oder, il postulatore della causa di beatificazione: lui ha intervistato molte più persone di me. Mi ha detto: “Wojtyla è come un brillante. Ogni racconto, ogni testimonianza è un’altra sfaccettatura di questo brillante. E più aggiungi le testimonianze, più questo brillante brilla, è più bello e luminoso. Di quest’uomo, dell’esperienza delle persone che riguardano Wojtyla sono quasi infinite. Più scavavo, più interrogavo le persone, più cercavi questo personaggio era più bello, più luminoso, più santo, dal nostro punto di vista.”

C’è un racconto che ti ha colpito particolarmente?

Le radici di Karol Wojtyla sono polacche, e io prima di tutto ho parlato con il Cardinale Deskur, che era suo amico da sempre, dai tempi del seminario. E lui mi ha raccontato che un giorno sulla porta della stanza del seminario dove era Karol Wojtyla venne scritto: “Karol Wojtyla futuro santo.” Io tentavo di immedesimarmi nei seminaristi che avvertivano in quest’uomo qualche cosa di straordinario. Aveva profondità nel rapporto con Dio, ma anche con gli altri. Poiché era una persona che sapeva ascoltare, che trattava ogni incontro con una altra persona come un dono di Dio. Wojtyla diceva che ogni persona che incontra è un dono di Dio, non ci sono incontri casuali. E aggiungeva che “ogni persona è un impegno.”

E dunque vale la pena oggi parlare ancora di Giovanni Paolo II?

Noi abbiamo i santi per imitarli Ognuno di noi può prendere, può tentare di imitare San Giovanni Paolo II in qualche cosa. Nella preghiera. Nel modo di vivere la Santa Messa. Nei rapporti con gli altri. Era un grande maestro prima di tutto di preghiera. Ma aveva anche compreso che ogni cambiamento profondo della società avviene non grazie alla politica, alle strategie politiche che può fare la Chiesa, ma grazie ai cambiamenti del cuore, perché solo i cambiamenti duraturi hanno la fonte nel cambiamento dei cuori umani. È un Papa che grazie a questa sua facoltà di arrivare al cuore di milioni di persone è riuscito a cambiare il mondo. Lui non era un politico, e nemmeno un anticomunista. Lui si opponeva al comunismo perché l’Homo Sovieticus, la visione antropologica del comunismo era completamente sbagliata. L’Homo Sovieticus non era l’uomo voluto da Dio. Solo per questo si opponeva al comunismo, e per questo motivo i politici comunisti non lo capivano, lo consideravano un filosofo. Eppure proprio per questo toccava profondamente le persone. Ma criticava anche il capitalismo, perché l’uomo ridotto a produttore e consumatore non è un uomo voluto da Dio.

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