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Il Cardinale Bassetti: "I migranti non sono criminali o minacce all'ordine pubblico"

Presentato stamane il Rapporto “Italiani nel mondo” 2020, curato dalla Fondazione Migrantes

Il Rapporto Italiani nel mondo 2020 |  | Fondazione Migrantes Il Rapporto Italiani nel mondo 2020 | | Fondazione Migrantes

Negli ultimi 15 anni gli italiani nel mondo hanno raggiunto la cifra di 5,5 milioni, con un aumento del 76,6%. Nel 2019 hanno lasciato l’Italia 131.000 persone verso 186 destinazioni del mondo, da ogni provincia italiana”.  Lo afferma il Rapporto “Italiani nel mondo” 2020, curato dalla Fondazione Migrantes.

Gli italiani che lasciano il nostro Paese hanno raggiunto Malta, Portogallo, Irlanda, Norvegia e Finlandia.

A lasciare maggiormente l’Italia sono persone – si legge nel Rapporto – con un titolo di studio medio-alto e per la maggioranza sono uomini: il 55%, contro il 45 di donne. Le regioni che lamentano il maggior numero di partene verso l’estero sono Lombardia, Veneto, Sicilia, Lazio e Piemonte.

Alla presentazione del Rapporto è intervenuto anche il Cardinale Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

“Le ultime modifiche normative, in discontinuità con il recente passato – ha osservato il porporato - contribuiscono a restituire l’immagine di migranti e richiedenti protezione come persone in carne e ossa, vittime di un sistema globale di iniquità economica e politica, di ingiustizia sociale e non come criminali o minacce all’ordine pubblico. La cura di ogni persona migrante, qualsiasi sia la direzione del suo andare e il passaporto in suo possesso, è sempre doverosa. Auspichiamo la stessa cura per i migranti italiani in mobilità, per chi è già all’estero da tempo, per chi è nato all’estero, per chi è partito da poco o per chi ha intenzione di partire”.

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“Quando Papa Francesco – ha detto ancora il Presidente della Cei - parla della Chiesa in uscita e del pericolo della autopreservazione, altro non fa che chiederci di uscire dalle nostre strutture, di essere capaci di cogliere i segni dei tempi e di mettere in moto la creatività pastorale. Come Chiesa e come Paese in cui la cristianità affonda le sue radici abbiamo la consapevolezza dell’importanza della relazione umana solidale, dell’essere prossimi all’altro. Dobbiamo riscoprirci meravigliati e stupiti, compassionevoli, per ritrovare dentro di noi questa radice primigenia che ci fa essere cristiani pronti a conoscere l’altro, con le sue ricchezze e con le sue diversità, e proprio per questo pieni di Dio. Siamo chiamati a una sfida di civiltà: andare incontro al diverso perché migranti tra i migranti ed essere popolo accogliente per chi arriva”.