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Il cardinale Filoni ad Ars per raccontare la missione secondo il Santo Curato

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Dio suscita nella vita della Chiesa e nella società figure e persone che sono diventate come l’alfabeto simbolico del nostro modo di essere cristiani e di riferimento in quanto Chiesa. Il Curato d’Ars e Paolina-Maria Jaricot rientrano tra questi personaggi che ci permettono di leggere la storia umana e della Chiesa in termini più comprensibili.

Lo ha detto il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli ad Ars, in Francia, dove si trova per le celebrazioni della della Festa di  San Giovanni Maria Vianney.

In una conferenza, il cardinale ha ricordato la che la Diocesi di Belley-Ars conclude l’Anno dedicato alla Missione.

Filoni ha riletto la storia della Chiesa cattolica in Francia alla fine del 1700, segnata da scarso rinnovamento, sentimento anticurialista e crisi dottrinale. Uomini che avevano intuito la crisi istituzionale e religiosa c’erano, anche se la “loro influenza era quasi neutralizzata dalla mentalità prevalente, risultando spesso inefficace ad un vero e profondo cambiamento”.

Divisione nel clero e sistema beneficiario facevano sì che “la ricerca di prebende e di una vita assicurata atrofizzava lo zelo pastorale e l’evangelizzazione del popolo”.

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Poi la rivoluzione frantuma questa situazione. “Le persecuzioni purificheranno la Chiesa”, ci saranno uccisioni “di centinaia di ecclesiastici, vescovi e sacerdoti, l’emigrazione anche forzata di oltre trentamila di essi, la clandestinità alla quale tanti furono costretti dagli eventi portarono alla scristianizzazione, all’anticlericalismo o alla laicizzazione della società. Il culto fu profondamente sconvolto e turbato, la vita religiosa della gente scompigliata, ma non del tutto distrutti o sradicati”.

Ma, ha spiegato il cardinale, “la Rivoluzione aveva anche palesato la realtà della Chiesa, spogliandola dai pretesti e dagli alibi, come pure toccò nell’intimo la relazione uomo-Dio, il senso della sua missione nel mondo, l’identità, diremmo, ecclesiologica nei confronti della società e delle istituzioni. La persecuzione l’aveva ridotta all’essenziale, senza possibilità di fuga. Aveva anche fatto emergere sia la fede profonda, come le ambiguità e le debolezze, nonché l’inconsistenza di presunte ragioni e i tradimenti dei deboli e degli opportunisti”.

E poiché “Dio non è indifferente alla vita e alla storia umana” ecco arrivare i grandi santi: il Curato d’Ars e Paolina-Maria Jaricot. Appartengono alla terra lionese, “uno sacerdote, l’altra laica; l’uno uomo e l’altra donna; l’uno curato di campagna in un minuscolo villaggio di contadini e pastori, l’altra in relazione con il mondo operaio, nascente e produttivo che stava accelerando verso un progresso nuovo”.

Di Giovanni Maria Vianney, il cardinale Filoni  ha messo in luce “il senso della sua missionarietà nella vita parrocchiale; si direbbe oggi, in termini cari a Papa Francesco, di parroco 'in uscita', non chiuso tra le mura della propria chiesetta, né soddisfatto di qualche successo; bensì in continua ansia pastorale, prossimo alle necessità materiali dei poveri e dell’ambiente contadino, attento e forte per non lasciarsi travolgere dalle avversità e dall’ignoranza dei fedeli, in intima comunione con Dio. Di Paolina-Maria Jaricot mi piace ricordare, ancora in termini cari a Papa Francesco, l’entusiasmo apostolico innovativo e creativo, in quanto laica e pertanto antesignana sui tempi ed in particolare nella Chiesa, per l’opera di evangelizzazione che partiva dal nuovo contesto operaio e si proiettava nel mondo, verso terre e continenti mitici, la Cina, il Pacifico, i Caraibi a cui bisognava far giungere il Vangelo”.

E ”se per Giovanni-Maria Vianney la forza della sua visione ecclesiale era concentrata nel riportare a Dio la sua parrocchia e le anime più lontane, per Paolina-Maria Jaricot gli orizzonti della sua azione partivano dalla realtà concreta in cui viveva, la città di Lione, per allargarsi alla missione universale della Chiesa, con l’estensione internazionale del rosario vivente, gli aiuti umanitari e le corrispondenze con i Missionari”.

Inizia una missionarietà non più legata alla territorialità come poi spiegherà il Concilio Vaticano II quando l’annuncio era già arrivato a tutto il mondo e in tutta la Chiesa si era avviata la coscienza che la “missionarietà riguardasse tutta la comunità cristiana e non solo la gerarchia o gli istituti missionari”. Una realtà continuamente in cammino e presente nella consapevolezza del Popolo di Dio.

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Nuova missionarietà e nuova ecclesiologia: “ Il mistero della Chiesa come missione ha il suo riferimento fondante nella persona di Gesù: soltanto da Cristo acquista vita, sia nella dottrina, sia nell’avvenimento”. E come dice  “Papa Francesco, 'missione' è sinonimo di 'uscita', di 'itineranza', di 'apertura delle porte', di 'mettersi in cammino', di 'incontrare'”.