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Il cristiano vigilante. XXXII Domenica del Tempo Ordinario

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Se dovessimo dire chi è il cristiano potremmo rispondere che è una persona che vive con vigile prontezza in attesa del Signore. E’ quanto ci chiede Gesù nella parabola di questa domenica, presentandoci il diverso comportamento di dieci vergini che stanno aspettando lo Sposo che deve venire. Cinque sono qualificate sagge mentre cinque stolte. Lo sposo è Cristo. Le vergini rappresentano il singolo cristiano, ma anche tutta l’umanità. L’attesa dello sposo indica l’esistenza umana mentre la venuta dello sposo e la festa di nozze indicano la beatitudine eterna.

L’insegnamento che Gesù vuole offrirci è chiaro e nello stesso tempo preoccupante. Ci possono essere cristiani che si fanno trovare impreparati alla venuta di Cristo. Una venuta che è duplice: nel momento della nostra morte e alla fine del mondo quando il Signore ritornerà a giudicare i vivi e i morti. 

La venuta del Signore è imprevedibile ed improvvisa, coglie di sorpresa. Può giungere a qualunque momento del giorno o della notte perché Egli non si sente vincolato da  nessun orario. Per chi si fa trovare impreparato lo sposo dimostra un atteggiamento inflessibile: non ha più possibilità di rimediare. Egli, infatti, è l’immagine del Gesù Giudice che rigetta da sé coloro che non ha trovato pronti ad aspettarlo. Ha scritto un commentatore: qui “c’è l’irreparabile condanna del troppo tardi”.

Chi è il cristiano impreparato? E’ colui che non ha perseverato nella fede, la cui fede si è spenta e l’amicizia con il Signore si è spezzata. Cristiano saggio, invece, è colui che poggia la sua vita sul Signore e vive la propria comunione con Lui attraverso la preghiera, la partecipazione ai sacramenti, in particolare la Confessione e l’Eucarestia, che si pone al servizio dei propri fratelli, che pratica la carità verso il prossimo. Per un cristiano il primo e più importante obiettivo della vita è entrare al banchetto di nozze che Dio stesso ci ha preparato. 

Scrive San Josemaria Escrivà: “Quando ci presenteremo davanti a Dio, due cose ci chiederanno: se eravamo nella Chiesa e se lavoravamo nella Chiesa. Tutto il resto non ha valore”.

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Santa Teresa d’Avila, dal canto suo, affermava: Sarebbe un gran conforto potere pensare al momento della morte, di dover essere giudicate da Colui che abbiamo amato sopra ogni cosa! Gli andremmo innanzi con fiducia, anche con il carico dei nostri peccati, persuase di andare non già in una terra straniera, ma nella nostra patria, nel regno di Colui che tanto amiamo e che pur tanto ci ama (Cammino di perfezione).

Tutto il resto -  il successo, la fama, il potere, la povertà, la ricchezza, la salute, la malattia… - è relativo e secondario rispetto al “per sempre con Dio”. 

Sarà buono se ci aiuta a compiere opere di bene e a vivere la carità. Chiediamoci: Cerchiamo il Signore in tutto quello che facciamo? Se Cristo venisse oggi a visitarci, ci troverebbe vigilanti, in attesa con le mani colme di opere buone? Ogni giorno per un cristiano è un andare incontro al Signore per essere sempre con Lui.