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Il nuovo vescovo di Gubbio: "Raccontare Dio"

Mons. Luciano Paolucci Bedini |  | Agenziapressnews Mons. Luciano Paolucci Bedini | | Agenziapressnews

Da domenica 3 dicembre mons. Luciano Paolucci Bedini è il nuovo vescovo della diocesi di Gubbio, subentrando a mons. Mario Ceccobelli ed è considerato il sessantesimo successore di sant’Ubaldo Baldassini, patrono e protettore della città e della diocesi eugubina. Mons. Paolucci Bedini è nato a Jesi (An) il 30 agosto 1968; dal 1989 al 1995 ha frequentato il Seminario e conseguito il baccalaureato in Teologia presso il Pontifico Seminario regionale ‘Pio XI’ e l’Istituto teologico marchigiano di Fano e Ancona. Il 30 settembre 1995 è ordinato presbitero da mons. Franco Festorazzi nella cattedrale di san Ciriaco ad Ancona e fino al 2004 è viceparroco nella comunità di San Paolo Apostolo a Vallemiano di Ancona. Nel frattempo si licenzia in teologia pastorale con specializzazione in pastorale giovanile e catechetica presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma, discutendo la tesi ‘Gesù Cristo, il perfetto comunicatore. Criterio e modello di una rinnovata prassi comunicativa nell’educazione della fede’. Dal 2001 al 2011 è insegnante di Catechetica, Pastorale giovanile e Pastorale dell’iniziazione cristiana presso l’Istituto superiore marchigiano di Scienze religiose ‘Redemptoris Mater’ di Ancona, ricoprendo anche l’incarico di rettore presso il Pontificio Seminario regionale ‘Pio XI’ del capoluogo marchigiano. Ed a Gubbio mons. Paolucci Bedini è arrivato a piedi e sotto la pioggia; partito da Assisi ha percorso il sentiero francescano, incontrando i fedeli, in particolare i giovani e le famiglie eugubine. Nel saluto al termine dell’ordinazione episcopale, concelebrata dal card. Edoardo Menichelli, mons. Luciano Paolucci Bedini ha ringraziato innanzitutto chi è in un momento di sofferenza: “Prima di tutto vorrei esprimere un profondo ringraziamento a tutti coloro che vivono un tempo di fatica nella vita. Di dolore per le ferite dell’esistenza, per la sofferenza della malattia, per la paura della solitudine o il timore del futuro, che sono presenti, qui o a casa, e che oggi non hanno rinunciato a vivere con me questa immensa gioia. Mi siete maestri di come l’amore e la condivisione allargano il cuore e gli permettono di rimanere aperto e ospitale. Il vostro sacrificio è prezioso agli occhi di Dio e caro a me che vi porto nella preghiera. Davanti a tutti voi stasera, e sotto lo sguardo della misericordia del Padre, dico grazie alla Chiesa!” Ed un grazie particolare è stato rivolto alla diocesi accogliente: “

Grazie alla Chiesa-Sposa di Gubbio! Non ci conoscevamo, e il Signore, per le vie misteriose della sua volontà, ci ha promessi l’uno all’altra. Il fidanzamento è durato solo tre giorni, ma è stato amore a prima vista. Mi sono commosso quando ho saputo che da mesi questa Chiesa, antica e vivace, stava pregando con grande fiducia per il nuovo vescovo. Le parole di quella preghiera non disegnavano un volto preciso, ma tratteggiavano i contorni di un cuore capace di amare dell’Amore di Cristo-Sposo”. Il motto episcopale scelto è ‘Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date’: “Il dono più grande che ho ricevuto è stata la vita, che so essere dono di Dio per come mio babbo Vitaliano e mia mamma Paola me lo hanno raccontato e mostrato… Gratuitamente desidero continuare a donare tutta la mia vita per il Vangelo nella Chiesa, perchè questa parola di vita continui a salvare la vita di tanti. Desidero farlo in comunione con coloro che il Signore mi dona, sorelle e fratelli, consacrati nel battesimo e in ogni vocazione, al servizio di tutti, a partire dai poveri di ogni povertà. Questa è la novità di Gesù, la forza del suo Amore. Credetelo, sognatelo, e speratelo con me”.

Con il neo vescovo ritorniamo al giorno della notizia della nomina vescovile, chiedendogli di raccontarci il suo primo pensiero: “Il primo pensiero è stato: è troppo presto, non so cosa significhi fare il vescovo e ho timore di questa grande responsabilità. Mi dispiace lasciare il lavoro del seminario e anche la mia diocesi. Reazioni umane comprensibili e istintive. Poi ho sentito dentro la fiducia di rispondere al Signore, il desiderio di servire la chiesa ovunque essa mi chiami, e anche la bellezza di essere chiamato a succedere agli apostoli nel grande compito dell'evangelizzazione”.

Papa Francesco ha chiesto ai vescovi di essere pastori con ‘l’odore delle pecore’: in quale modo la Chiesa è vicina al popolo?

“La Chiesa è nel popolo, ed è formata dal popolo. E per la Chiesa tutto il popolo è destinatario del suo servizio di misericordia. Perciò la Chiesa è vicina al popolo se ascolta tutti e accoglie tutti e dialoga con tutti e accompagna tutti. I vescovi in questo sono chiamati a guidare il gregge, a stimolarlo, ma anche a proteggerlo e a custodirlo. Prendersi cura di coloro che il Signore ci affida è dare la possibilità a Dio di raggiungere ogni uomo per amarlo e salvarlo. Concretamente la comunità dei credenti, ovunque si trovi, è chiamata a far sua la vita del popolo in cui abita, condividendone le gioie e i dolori le speranze e le angosce. Piangendo con chi piange e gioendo con chi gioisce”.

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Da rettore del Seminario quali ‘competenze’ deve avere un sacerdote?

“Non parlerei di competenze, anche se il prete ha bisogno di sapere e di saper fare determinate cose, ma parlerei di atteggiamenti fondamentali necessari.  Prima di tutte la passione per Gesù e per il vangelo. La disponibilità ad entrare in relazione con tutti. La premura verso i più deboli. La misericordia verso gli erranti. L’umiltà della sua debolezza. La generosità della sua condivisone. La tenerezza e la gentilezza del tratto. La disponibilità a lasciarsi correggere, e la docilità a lasciarsi accompagnare. La prudenza delle azioni e delle parole. Il coraggio delle scelte. La fedeltà dell’amore che perdona e chiede perdono. La pazienza con tutti”.

Mons. Bedini, alcuni anni fa, ha scritto un libro, intitolato ‘Ti racconto Dio. I linguaggi per comunicare la fede’ e nel prossimo anno ci sarà un Sinodo dedicato ai giovani: come raccontare Dio ai giovani?

“Prima di tutto, appunto, raccontare. Non ammaestrare o imporre. Le belle storie vengono ascoltate con stupore da chi sente nel cuore gli stessi desideri di chi le ha scritte e prima ancora di chi le ha vissute. In secondo luogo con la forza della vita che testimonia un incontro vero. La grande accoglienza di un ascolto che non giudica, ma sa attendere. Con la gioia del vangelo, che è parola sempre giovane, e la passione dello Spirito, che è il segreto della giovinezza della Chiesa. Soprattutto lasciando che il racconto della vita dei giovani incontri, nel nostro racconto di testimoni adulti, la storia di Gesù che racconta tutte le nostre storie”.