Tre parole da vivere in “uscita”: “amore”, “vita” e “amici”. E il modello, Pier Giorgio Frassati. “Vivete, non vivacchiate”, dice Papa Francesco ai giovani della piccola GMG di Torino. Un discorso appassionato quello di papa Francesco in piazza Vittorio; completamente “a braccio”, “dal cuore”, partendo da tre domande per offrire tre parole che partono da una radice comune “tanto importanti per la vita”: la “voglia di vivere”.

Francesco accoglie sul palco la croce e l’icona della Vergine, simboli della GMG, portati da giovani. Si ferma in una preghiera silenziosa per diversi minuti toccando e baciando la croce.

Per non “vivere come un vegetale”, dice poi il Papa ai giovani, per “non essere un giovane fermo” e per non essere “in pensione a vent’anni” – “Mi danno tanta tristezza al cuore”, dice – i giovani devono andare “controcorrente” e devono testimoniare “la voglia di amare”. Cioè “dare quello che ha di più bello l'uomo”, perché “quando il giovane ama non va in pensione”.

L’amore, che non è “sentimento romantico del momento”, ha due “assi”, due “dimensioni”: “è più nelle opere che nelle parole, è concreto” e poi “si comunica”. Ma soprattutto “è casto”.

“Mi permetterei di parlare con sincerità – dice Papa Francesco - Non vorrei fare il moralista, ma vorrei dire una parola che non piace, impopolare. Anche il Papa a volte deve rischiare sulle cose per dire la verità”. Ed “in questo mondo edonista, in cui c'è solo pubblicità e piacere, io vi dico: siate casti”.

“Tutti noi – aggiunge il Papa - abbiamo passato nella vita per momenti nei quali questa virtù è stata molto difficile”. Ma “non usare l'altro per il proprio piacere”, “fa la vita dell'altra persona sacra. Ti rispetto, non voglio usarti”.

Ma poi l’amore è anche “servizio”. Ed “il segno si trova sulla croce. Il servizio più grande è dare la vita, sacrificarsi”. Ecco perché “non è facile parlare d'amore, vivere l'amore”.

Ma è parlando della “sfiducia” per la vita che il Papa si scaglia contro i rappresentanti dei governi che ricorrono alla guerra, contro “gli interessi delle grandi potenze” e contro i fabbricanti di armi. Perché “nel sistema economico mondiale non è uomo e donna al centro come vuole Dio, ma il dio denaro”.

Ma “vale la pena vivere così?” si chiede il Papa. “Pensiamo alle guerre”, aggiunge. “Alcune volte ho detto che stiamo vivendo la terza guerra mondiale, ma a pezzi. In Europa c’è la guerra, in Africa c’è la guerra, in Medio Oriente c'è la guerra. Posso avere fiducia?”.

Qui il pesante attacco del Papa contro i “dirigenti e imprenditori che si dicono cristiani ma fabbricano armi”. “Anche la doppia faccia è moneta corrente oggi. Dire una cosa e farne un'altra. L'ipocrisia”, stigmatizza il Papa.

Le tragedie dell’ultimo secolo devono servire da monito. Così il Papa ricorda: “Nel 1915 c'è stata la grande tragedia dell'Armenia”, con tanti morti, “più di un milione”, “dov'erano le grandi potenze di allora? Guardavano da un'altra parte. E questi che muoiono. Sono persone di seconda classe”; “poi negli anni 30'40 la tragedia della Shoah. Le grandi potenze avevano le fotografie delle vie ferroviarie che portavano i treni ai campi di concentramento. Per uccidere ebrei, cristiani, Rom, omosessuali. Perché non hanno bombardato?”; “contemporaneamente c'erano i lager in Russia, Stalin. Quanti cristiani sono stati uccisi. Le grandi potenze si dividevano l'Europa come una torta”.

E’ vero, ammette Francesco, spesso un giovane si chiede: “Mi posso fidare della vita?”. Soprattutto ”un giovane che non può studiare, che non ha lavoro, che non si sente degno, ma quante volte i giovani finiscono nelle dipendenze, si suicidano”… O persino, “vanno a lottare con i terroristi”. Ma la risposta è in Gesù che ci chiedeva di non fondare “le nostre sicurezze nelle ricchezze, nei poteri mondani”.

E poi dare un senso alla vita, partendo dal “capire bene dove si vive”. “In questa terra, alla fine dell'800 – spiega Bergoglio - c'erano le condizioni più cattive perché la gioventù andasse avanti”, tra cui la massoneria, i “mangiapreti” e i “demoniaci”. E “la Chiesa non poteva fare nulla”: “Ma vedete quanti santi e sante sono nati in quel tempo – dice -. Si. Sono accorti che bisognava andare contro corrente”.

Con quel modello, i giovani di oggi devono generare “progetti di costruzione”, per “fare cose costruttive”, non importa “che siano piccole”, l’importante “che ci uniscano tra di noi”: questo è “il miglior antidoto alla cultura che offre solo piacere” e, vuole “venderci” vetro al posto dei diamanti. Soprattutto per gli universitari – “siete tanti” – deve “uscire nel servizio, e con i poveri soprattutto”.
Nel discorso preparato e consegnato al direttore della pastorale giovanile diocesana il Papa aveva scritto che il Signore “ci mostra fin dove arriva l’amore: fino al dono totale di sé stessi, fino a dare la propria vita, come contempliamo nel mistero della Sindone, quando in essa riconosciamo l’icona dell’’amore più grande’”.  Perché si potrebbe “correre il rischio di cantare l’amore, di sognare l’amore, di applaudire l’amore... senza lasciarci toccare e coinvolgere da esso”. E che cos’è?  Ecco la sua definizione offerta ai giovani: “La grandezza dell’amore si rivela nel prendersi cura di chi ha bisogno, con fedeltà e pazienza; per cui è grande nell’amore chi sa farsi piccolo per gli altri, come Gesù, che si è fatto servo”. In più: “Amare è farsi prossimo, toccare la carne di Cristo nei poveri e negli ultimi, aprire alla grazia di Dio le necessità, gli appelli, le solitudini delle persone che ci circondano”.

Non si tratta di produrre un “raro gesto eroico o riservato a qualche occasione eccezionale”. Perché l’amore di Dio “trasforma e rende grandi le piccole cose, le rende segno della sua presenza”. L’esempio? “San Giovanni Bosco ci è maestro proprio per la sua capacità di amare e educare a partire dalla prossimità, che lui viveva con i ragazzi e i giovani”.

Parlando di “sfiducia nella vita” il Papa cita la “mancanza di lavoro e di prospettive per il futuro”, che “certamente contribuisce a frenare il movimento stesso della vita, ponendo molti sulla difensiva: pensare a sé stessi, gestire tempo e risorse in funzione del proprio bene, limitare i rischi di qualsiasi generosità... Sono tutti sintomi di una vita trattenuta, conservata a tutti i costi e che, alla fine, può portare anche alla rassegnazione e al cinismo”.

Citando invece “un modello di fiducia e di audacia evangelica per le giovani generazioni d’Italia e del mondo: il beato Pier Giorgio Frassati”, Francesco scive: “Un suo motto era: «Vivere, non vivacchiare!». Questa è la strada per sperimentare in pienezza la forza e la gioia del Vangelo. Così non solo ritroverete fiducia nel futuro, ma riuscirete a generare speranza tra i vostri amici e negli ambienti in cui vivete”.

All’ultima questione quella di “come vivere l’amicizia in modo aperto, capace di trasmettere la gioia del Vangelo?”, il Papa risponde: “ Ho saputo che questa piazza in cui ci troviamo, nelle sere di venerdì e sabato, è molto frequentata da giovani. Succede così in tutte le nostre città e paesi. Penso che anche alcuni di voi vi ritroviate qui o in altre piazze con i vostri amici. E allora vi faccio una domanda – ciascuno ci pensi e risponda dentro di sé –: in quei momenti, quando siete in compagnia, riuscite a far “trasparire” la vostra amicizia con Gesù negli atteggiamenti, nel modo di comportarvi? Pensate qualche volta, anche nel tempo libero, nello svago, che siete dei piccoli tralci attaccati alla Vite che è Gesù? Vi assicuro che pensando con fede a questa realtà, sentirete scorrere in voi la “linfa” dello Spirito Santo, e porterete frutto, quasi senza accorgervene: saprete essere coraggiosi, pazienti, umili, capaci di condividere ma anche di differenziarvi, di gioire con chi gioisce e di piangere con chi piangere, saprete voler bene a chi non vi vuole bene, rispondere al male con il bene. E così annuncerete il Vangelo!”

Nel trasferimento dal Cottolengo a Piazza Vittorio il Papa si è fermato nella Chiesa di Santa Teresa (che si trova nel centro storico di Torino) dove si sono sposati i suoi nonni. Nel corso della breve visita, Papa Francesco ha baciato il battistero e ha scritto una piccola dedica con riferimento al valore della famiglia e al prossimo Sinodo.