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Il Papa e Roma, quel giorno di luglio di 73 anni fa

Papa Pio XII  | Papa Pio XII, bagno di folla durante la Seconda Guerra Mondiale | www.pioxii.it Papa Pio XII | Papa Pio XII, bagno di folla durante la Seconda Guerra Mondiale | www.pioxii.it

Del bombardamento di Roma del 19 luglio 1943 ricordiamo soprattutto la foto di Papa Pio XII, a San Lorenzo, con le braccia allargate ad accogliere la folla che gli si era fatta intorno. Ma quella foto non fu scattata in quel fatidico 19 luglio, ma il 13 agosto. Perché Pio XII uscì due volte a portare conforto alla popolazione di Roma. E fu in quella seconda occasione che venne scattata la famosa foto.

Eppure, è quel 19 luglio che è rimasto più impresso nella memoria dei romani. Forse perché mai fino ad allora Roma era stata bombardata fino ad allora durante la guerra, sebbene un lancio di volantini il 17 luglio avesse fatto presagire il peggio. Più probabilmente perché la presenza del Papa tra la popolazione guariva le ferite di una città in cui non c’era più nessuna autorità, dato che Benito Mussolini era a Feltre per incontrare Adolf Hitler e il re era fuori sede.

La presenza del Papa in mezzo alla popolazione divenne così un balsamo consolante per i romani. Appena saputo del bombardamento, Pio XII si mosse con una macchina privata.

Fu un ininterrotto bagno di folla: i romani non volevano staccarsi da Pio XII “nemmeno quando il Papa - si legge nell’Osservatore Romano di quei giorni – riuscì a risalire sulla sua vettura senza riuscire ad impedire il continuo addensarsi da nuovi afflussi”. E così, l’auto finì danneggiata, il Papa dovette scendere, e dovette cambiare vettura.

Si ricorda tutto questo, nel 19 luglio. Ma Pio XII uscì due volte nelle strade di Roma. Uscì anche il 13 agosto, dopo un secondo bombardamento nella Capitale. Non solo. La foto si riferisce a un bagno di folla che avvenne invece a San Giovanni. Il Papa, in Mercedes nera, uscì appena vide cadere le bombe, e raggiunse Porta Maggiore e via Taranto, si fermò davanti alla chiesa dei Santi Fabiano e Venanzio, poi arrivò alla chiesa parrocchiale di Villa Fiorelli, e infine raggiuse San Giovanni.

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Fu in quell’occasione che Fiorenzo Angelini, poi cardinale e allora parroco della Natività in via Gallia, fermò l’auto del Papa, sulla quale sedevano anche monsignor Giovan Battista Montini e il conte Pietro Galeazzi, perché sulla strada c’era una grande bomba di aereo rimasta inesplosa. “Fu un raggio di sole come in una tempesta micidiale”, raccontò anni dopo il Cardinal Angelini a Cesare De Simone, testimonianza riportata nel libro “Venti angeli sopra Roma”.

Sono storie che raccontano quanto davvero fosse presente nella città di Roma, ne conoscesse le necessità, stesse vicino alla popolazione. Così tanto che i tedeschi lo volevano rapire, portare in Germania, costringere a scrivere una enciclica che in pratica aiutasse il nazionalsocialismo.

Si chiamava operazione Rabat, perché si pensava addirittura di portare il Pontefice in Marocco, e alcuni ulteriori dettagli sull’operazione sono stati rivelati sull’Osservatore Romano del 6 luglio scorso. Tutti sapevano dell’operazione, e di come fosse stata sventata in qualche modo da servizi americani e tedeschi insieme. Ma l’aneddoto raccontato è quello di un giovane Giovan Battista Montini che va a cercare Bartolomeo Nogara, direttore dei Musei Vaticani, in una sera di fine gennaio 1944. A lui racconta del piano di rapire il Papa, come scrive nel suo diario Antonio Nogara, figlio dell’allora direttore dei Musei. Con Bartolomeo Nogara, monsignor Montini fece diversi sopralluoghi, anche per comprendere come nascondere il Papa. Finché lo stesso Bartolomeo Nogara non viene a sapere che il Vaticano era a conoscenza da tempo del piano di Hitler.

Un piano ideato dal belga Leon Degerelle, nazista che Hitler ammirava e fondatore del movimento rexista (dalla scritta Christus Rex che spiccava sulle sue insegne), conservatore, antisemita e fautore di una sorta di commistione tra principi nazionalsocialisti e cattolici. Fu lui a proporre ad Hitler il rapimento del Papa, con l’idea di creare l’occasione per cui la Wermacht avrebbe dovuto prima sventare il finto rapimento e poi portare il Papa in Germania.

Il piano fu affidato da Hitler a Karl Wolff e al generale Wilherl Burgodrf, e fu il primo ad avvertire il Papa, anche se in realtà già ai primi di ottobre 1943 Radio Monaco, l’emittente repubblichina con base in Baviera, aveva annunciato che in Germania si stavano allestendo gli appartamenti pontifici per ricevere l’ospite. Il piano fu poi sventato anche per le resistenze diplomatiche interne tedesche.

Ma non si fermò l’attenzione delle truppe nei confronti del Vaticano, unica forza morale presente sul territorio di Roma. Tanto che il 5 novembre 1943 una incursione, con relativo bombardamento, fa molti danni proprio nello Stato di Città del Vaticano, sfiorando la sede della Radio Vaticana, quella dei Tribunali e la casa dell’Arciprete. Un attacco che si pensava essere arrivato degli alleati e che poi – come ricostruito da Augusto Ferrara nel libro “1943. Bombe sul Vaticano” – si comprese essere opera del ras di Salò Roberto Farinacci, con l’idea di colpire la stazione radio Vaticana sospettata di dare informazioni al nemico.

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Perché il Vaticano durante la guerra era anche questo. Uno spazio di libertà, libero dalle censure delle dittature, rifugio di molti anche in ambito non cattolico, unico posto dove trovare conforto e informazioni sicure. Il tutto simboleggiato dalla figura di Papa Pio XII, che il 19 luglio di 73 anni fa fece la prima delle uscite pubbliche durante la guerra che gli consegnò un posto nel cuore dei romani.