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Il Papa: "I Magi furono in grado di vedere al di là dell’apparenza"

Francesco si sofferma su tre espressioni della Liturgia di oggi: “alzare gli occhi”, “mettersi in viaggio” e “vedere”

Papa Francesco |  | Vatican Media / ACI group Papa Francesco | | Vatican Media / ACI group

È il giorno dell’Epifania del Signore, il giorno dell'annuncio del calendario liturgico, proclamazione della Pasqua, che quest'anno cade il 4 aprile. Papa Francesco, dopo un piccolo stop a causa di una sciatalgia, celebra la Messa nella Basilica Vaticana.

Nell'omelia il Papa riflette sul verbo "adorare", lo stesso che usa l'Evangelista Matteo per indicare cosa fecero i Magi alla vista del Signore, appena nato. "Oggi, pertanto, ci mettiamo alla scuola dei Magi, per trarne alcuni insegnamenti utili, come loro, vogliamo prostrarci e adorare il Signore", dice Francesco.

"Adorare il Signore non è facile, non è un fatto immediato: esige una certa maturità spirituale, essendo il punto d’arrivo di un cammino interiore, a volte lungo. Non è spontaneo in noi l’atteggiamento di adorare Dio. L’essere umano ha bisogno, sì, di adorare, ma rischia di sbagliare obiettivo; infatti, se non adora Dio, adorerà degli idoli, e invece che credente diventerà idolatra", inizia cosi Papa Francesco.

Poi Francesco si sofferma su tre espressioni della Liturgia di oggi: “alzare gli occhi”, “mettersi in viaggio” e “vedere”.

La prima espressione, alzare gli occhi, ce la offre il profeta Isaia. "È un invito a mettere da parte stanchezza e lamentele, a uscire dalle strettoie di una visione angusta, a liberarsi dalla dittatura del proprio io, sempre incline a ripiegarsi su sé stesso e sulle proprie preoccupazioni. Per adorare il Signore bisogna anzitutto “alzare gli occhi”: non lasciarsi cioè imprigionare dai fantasmi interiori che spengono la speranza, e non fare dei problemi e delle difficoltà il centro della propria esistenza", spiega il Papa.

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La seconda espressione che ci può aiutare è mettersi in viaggio. "Prima di poter adorare il Bambino nato a Betlemme, i Magi dovettero affrontare un lungo viaggio. Il viaggio implica sempre una trasformazione, un cambiamento. Dopo un viaggio non si è più come prima. C’è sempre qualcosa di nuovo in chi ha compiuto un cammino: le sue conoscenze si sono ampliate, ha visto persone e cose nuove, ha sperimentato il rafforzarsi della volontà nel far fronte alle difficoltà e ai rischi del tragitto. Tutto aiuta, anche i peccati. Non si giunge ad adorare il Signore senza passare prima attraverso la maturazione interiore che ci dà il metterci in viaggio. Si diventa adoratori del Signore mediante un cammino graduale".

"Come i Magi, anche noi dobbiamo lasciarci istruire dal cammino della vita, segnato dalle inevitabili difficoltà del viaggio - dice ancora Francesco - La vita non è una dimostrazione di abilità, ma un viaggio verso Colui che ci ama: guardando al Signore, troveremo la forza per proseguire con gioia rinnovata".

L'ultima espressione è vedere. "Ma, di fatto, che cosa videro i Magi? Videro un povero bambino con sua madre. Eppure questi sapienti, venuti da paesi lontani, seppero trascendere quella scena così umile e quasi dimessa, riconoscendo in quel Bambino la presenza di un sovrano. Furono cioè in grado di “vedere” al di là dell’apparenza. Prostrandosi davanti al Bambino nato a Betlemme, espressero un’adorazione che era anzitutto interiore: l’apertura degli scrigni portati in dono fu segno dell’offerta dei loro cuori. Per adorare il Signore bisogna “vedere” oltre il velo del visibile, che spesso si rivela ingannevole".