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La concretezza salesiana si declina nel "subito"

Don Claudio Belfiore | Don Claudio Belfiore con il Rettor Maggiore dei Salesiani Miguel Angel Artime e un gruppo di giovani al termine dell'incontro con Papa Francesco a Valdocco, Torino, 21 giugno 2015 | dal profilo Facebook di don Claudio Belfiore Don Claudio Belfiore | Don Claudio Belfiore con il Rettor Maggiore dei Salesiani Miguel Angel Artime e un gruppo di giovani al termine dell'incontro con Papa Francesco a Valdocco, Torino, 21 giugno 2015 | dal profilo Facebook di don Claudio Belfiore

Papa Francesco ha lodato la concretezza salesiana nel suo discorso a Valdocco, la Casa Madre della Famiglia salesiana. Ma come si declina questa concretezza oggi? In che modo i salesiani portano avanti il progetto di Don Bosco? “La concretezza parte da un passo prima, dall’analisi della situazione, secondo il metodo di Don Bosco,” spiega ad ACI Stampa Claudio Belfiore, presidente del Centro Nazionale Opere Salesiane.

Lo CNOS/FAP è una struttura associativa, ufficializzata dai Salesiani il 9 dicembre 1977 per attualizzare in qualche modo la formazione professionale attraverso una associazione di diritto civile per promuovere, gestire, rinnovare il proprio impegno di presenza nella formazione professionale.

Spiega don Claudio Belfiore: “La concretezza salesiana parte da un passo prima, don Bosco vedeva la situazione, ci pensava un po’ sopra e poi vedeva. Un po’ la concretezza si collega con la parola ‘subito’.” Don Bosco subito avvia scuole serali domenicali, subito apre la porta ai ragazzi che cercano di essere ospitati, subito si dà da fare per giovani lavoratori, e propone per loro un modello di contratto di lavoro.”

La concretezza di Don Bosco, spiega don Belfiore, “è avere una idea e metterla in pratica, anche se non tutto è pianificato, deciso e definito. La concretezza di don Bosco è iniziare e definire strada facendo. È la caratteristica di chi viene dalla terra, che sa quali sono le cose da fare e inizia comunque a farle.”

Tutto è comunque più difficile oggi, spiega don Belfiore, perché “abbiamo leggi che ci bloccano, normative, procedure. È una cosa che ci fa patire molto.”

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Fa l’esempio de La Playa, un centro a Catania, sulla spiaggia vicino l’aeroporto, una “struttura di accoglienza per i migranti minori. Perché i migranti maggiorenni vengono accolti più facilmente, sono considerati fonte di lucro, mentre i minori hanno più difficoltà. Noi abbiamo avviato questa struttura in Sicilia, per ospitare i minori immigrati e ragionare in termini progettuali. Cosa vogliono fare nella vita? In che modo vogliono lavorare? In base alle loro esigenze, pensiamo di orientarli, di inviarli in giro per l’Italia, a cercare i nostri istituti professionali, per imparare un mestiere, e poter rispondere così alle esigenze dei territori, quando queste si palesano.”

Ma i giovani hanno più bisogno di lavoro o di speranza? “I giovani hanno bisogno di speranza di una nuova cultura del lavoro. Il lavoro di cui si è parlato, di cui si è riempita la testa dei giovani era più il lavoro che rendeva molto, quello del guadagno facile. Si è perso invece il gusto del lavoro, il valore e il senso del lavoro. Tutti sono stati alla ricerca di un lavoro che fa guadagnare, e per questo ci si è illusi in vari percorsi. C’è bisogno di una nuova cultura del lavoro.”