L’incipit francescano è già una cifra spirituale della nuova enciclica di Papa Francesco. Quel “Laudato si’, mi Signore”, offre, volutamente, non solo il titolo al testo magisteriale, ma ne delinea anche la sua essenza più profonda: “Esistiamo non solo per la potenza di Dio – scrive il Papa -, ma davanti a Lui e con Lui. Perciò noi lo adoriamo”. Perché dell’enciclica di Bergoglio si è parlato, a ragione, degli aspetti sociali, delle ricadute sulla politica mondiale e della richiesta del Papa di una nuova “ecologia integrale” a favore di “sora nostra matre Terra”, per dirla alla maniera – tanto cara al Papa - di frate Francesco.

Ma dall’inizio alla fine, le parole forti e schiette di Bergoglio partono dalla disamina di ampi riferimenti di fede. Non a caso, saltando a piè pari alla conclusione, ritroviamo due preghiere in cui Papa Francesco si affida e affida il Creato a “Dio onnipotente”.

E chiede: “Risana la nostra vita, affinché proteggiamo il mondo e non lo deprediamo, affinché seminiamo bellezza e non inquinamento e distruzione. Tocca i cuori di quanti cercano solo vantaggi a spese dei poveri e della terra”. E ancora: “I poveri e la terra stanno gridando: Signore, prendi noi col tuo potere e la tua luce, per proteggere ogni vita, per preparare un futuro migliore, affinché venga il tuo Regno di giustizia, di pace, di amore e di bellezza”. E poi quel “Laudato si’! Amen”, che chiude un cerchio di circa 190 pagine.

Papa Francesco finisce come aveva iniziato, con la preghiera di lode. Perché se San Francesco è “l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità”, il messaggio del Papa “a tutte le persone di buona volontà” non può che partire dalle “convinzioni di fede”, che poi sono la base del vivere ecclesiale che si apre all’amicizia con tutti.

“Non possiamo sostenere una spiritualità che dimentichi Dio onnipotente e creatore – ammonisce il Papa- . In questo modo, finiremmo per adorare altre potenze del mondo, o ci collocheremmo al posto del Signore, fino a pretendere di calpestare la realtà creata da Lui senza conoscere limite”.

Piuttosto, “il modo migliore per collocare l’essere umano al suo posto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto della terra, è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore e unico padrone del mondo, perché altrimenti l’essere umano tenderà sempre a voler imporre alla realtà le proprie leggi e i propri interessi”.

Non tutti la pensano così, il Papa lo sa bene. “Sono consape¬vole  - spiega - che, nel campo della politica e del pensiero, alcuni rifiutano con forza l’idea di un Creatore, o la ritengono irrilevante, al punto da relegare all’ambito dell’irrazionale la ricchezza che le re¬ligioni possono offrire per un’ecologia integrale e per il pieno sviluppo del genere umano”.

Oppure, continua, “altre volte si suppone che esse costituiscano una sot¬tocultura che dev’essere semplicemente tollerata. Tuttavia, la scienza e la religione, che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per entrambe”. In più: “la Chiesa Cattolica è aperta al dialogo con il pensiero filosofico, e ciò le permette di produrre varie sintesi tra fede e ragione”.

Così “se questa Enciclica si apre a un dialogo con tutti per cercare insieme cammini di liberazione, voglio mostrare fin dall’inizio – spiega Francesco - come le convinzioni di fede offrano ai cristiani, e in parte anche ad altri credenti, motivazioni alte per prendersi cura della natura e dei fratelli e sorelle più fragili”.

In queste parole c’è un passaggio fondamentale, forse trascurato da quanti vogliono fare del Papa soltanto un leader politico planetario, dimenticandosi che nelle sue parole c’è un insegnamento che parte dall’annuncio cristiano e dalla Scrittura. Lo spiega bene Francesco: “è un bene per l’umanità e per il mondo che noi credenti riconosciamo meglio gli impegni ecologici che scaturiscono dalle nostre convinzioni”.

D’altronde, “insistere nel dire che l’essere umano è immagine di Dio non dovrebbe farci dimenticare che ogni creatura ha una funzione e nessuna è superflua. Tutto l’universo materiale è un linguaggio dell’amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio. La storia della propria amicizia con Dio si sviluppa sempre in uno spazio geografico che diventa un segno molto personale, e ognuno di noi conserva nella memoria luoghi il cui ricordo gli fa tanto bene”.

Questo implica che “non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani”. E denuncia: “È evidente l’incoerenza di chi lotta contro il traffico di animali a rischio di estinzione, ma rimane del tutto indifferente davanti alla tratta di persone, si disinteressa dei poveri, o è determinato a distruggere un altro essere umano che non gli è gradito. Ciò mette a rischio il senso della lotta per l’ambiente”.

Se ci sono spazi comuni nel pensiero di chi la pensa in maniera differente - “oggi, credenti e non credenti sono d’accordo sul fatto che la terra è essenzialmente una eredità comune, i cui frutti devono andare a beneficio di tutti” – questo amplifica il significato “per i credenti”: è “una questione di fedeltà al Creatore, perché Dio ha creato il mondo per tutti. Di conseguenza, ogni approccio ecologico deve integrare una prospettiva sociale che tenga conto dei diritti fondamentali dei più svantaggiati”.

Bergoglio passa in rassegna ampi passi biblici sulla creazione: “La Bibbia insegna che ogni essere umano è creato per amore, fatto ad immagine e somiglianza di Dio”, scrive. E aggiunge: “Che meravigliosa certezza è sapere che la vita di ogni persona non si perde in un disperante caos, in un mondo governato dalla pura casualità o da cicli che si ripetono senza senso!”.

Per Papa Francesco i racconti della creazione nel libro della Genesi “contengono, nel loro linguaggio simbolico e narrativo, profondi insegnamenti sull’esistenza umana e la sua realtà storica” e “suggeriscono che l’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la terra”.

“Secondo la Bibbia – aggiunge il Papa -, queste tre relazioni vitali sono rotte, non solo fuori, ma anche dentro di noi. Questa rottura è il peccato. L’armonia tra il Creatore, l’umanità e tutto il creato è stata distrutta per avere noi preteso di prendere il posto di Dio, rifiutando di riconoscerci come creature limitate”. E “oggi il peccato si manifesta con tutta la sua forza di distruzione nelle guerre, nelle diverse forme di violenza e maltrattamento, nell’abbandono dei più fragili, negli attacchi contro la natura”.

Inoltre, continua il Papa, “la Bibbia non dà adito ad un antropocentrismo dispotico che non si interessi delle altre creature” e “mentre possiamo fare un uso responsabile delle cose, siamo chiamati a riconoscere che gli altri esseri viventi hanno un valore proprio di fronte a Dio”. Perché “tutto è in relazione” e “la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri”.

Ce lo insegna il Dio della Bibbia, lo stesso “che libera e salva” e “lo stesso che ha creato l’universo, e questi due modi di agire divini sono intimamente e indissolubilmente legati”: quindi se “Dio ha potuto creare l’universo dal nulla, può anche intervenire in questo mondo e vincere ogni forma di male. Dunque, l’ingiustizia non è invincibile”.

Leggendo bene i testi sacri, si capisce come ci sia una differenza sostanziale tra “creazione” e “natura”: “Per la tradizione giudeo-cristiana, dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato”.

Papa Francesco si spiega meglio: “La natura viene spesso intesa come un sistema che si analizza, si comprende e si gestisce, ma la creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca ad una comunione universale”.

Così, “se riconosciamo il valore e la fragilità della natura, e allo stesso tempo le capacità che il Creatore ci ha dato, questo ci permette oggi di porre fine al mito moderno del progresso materiale illimitato. Un mondo fragile, con un essere umano al quale Dio ne affida la cura, interpella la nostra intelligenza per riconoscere come dovremmo orientare, coltivare e limitare il nostro potere”.

In chiave antropologica, quindi, “la libertà umana può offrire il suo intelligente contributo verso un’evoluzione positiva, ma può anche aggiungere nuovi mali, nuove cause di sofferenza e momenti di vero arretramento. Questo dà luogo all’appassionante e drammatica storia umana, capace di trasformarsi in un fiorire di liberazione, crescita, salvezza e amore, oppure in un percorso di decadenza e di distruzione reciproca”.

Perché “a partire dai testi biblici, consideriamo la persona come soggetto, che non può mai essere ridotto alla categoria di oggetto”.

Nel Nuovo Testamento, poi, “Gesù fa propria la fede biblica nel Dio creatore e mette in risalto un dato fondamentale: Dio è Padre”; lo stesso “Gesù viveva una piena armonia con la creazione” e “non appariva come un asceta separato dal mondo o nemico delle cose piacevoli della vita”. Con Gesù l’amore per la creazione viene testimoniato. E i credenti devono vivere ad imitazione di quel Cristo. Perché Gesù, nel suo essere terreno viveva “della sua relazione tanto concreta e amorevole con il mondo”, fino a divenire “risorto e glorioso” e “presente in tutto il creato con la sua signoria universale”.