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La strana storia dello zuavo John Surratt: prima parte

Una stampa con l'assissinio di Abramo Lincoln |  | Lithograph depicting the assassination. MPI/Archive Photos/Getty Images Una stampa con l'assissinio di Abramo Lincoln | | Lithograph depicting the assassination. MPI/Archive Photos/Getty Images

Prima Parte

La congiura e l’assassinio di Lincoln

Nell’aprile del 1866 una compagnia di zuavi, circa un centinaio di uomini, si trovava tra le montagne dei monti Lepini, a sud di Roma, per un rastrellamento contro alcuni briganti che infestavano la zona. Il corpo degli zuavi era composto soprattutto da stranieri, francesi per la maggior parte, ma c’erano anche cinesi e ottomani.

In questa variopinta umanità si erano inseriti perfino cinque statunitensi, ex soldati dell’esercito degli Stati Confederati del Sud che avevano trovato asilo, dopo la dura sconfitta da parte degli Unionisti del Nord, sotto le insegne di Pio IX. Con loro c’era anche un certo John Watson, giovane, elegante, intelligente, che si era distinto anche in alcune operazioni contro i briganti, ottenendo l’encomio dei suoi ufficiali. Nessuno, in quel frangente, avrebbe mai immaginato di avere davanti l’uomo più ricercato d’America, il cui vero nome era John Surratt, accusato di aver partecipato, insieme a sua madre Mary, al complotto che l’anno precedente, la sera del 14 aprile, era sfociato nell’assassinio del presidente degli Stati Uniti, Abramo Lincoln. A distanza di centocinquant’anni ancora non si sa esattamente come si svolsero i fatti incriminati ovvero se furono il frutto dell’azione di alcuni disperati tra cui lo stesso Surratt, oppure questi ultimi fecero solo da manovalanza in una cospirazione ben più grande di loro.

Verso la fine della guerra
Dopo tre anni di guerra, la situazione, alla fine del 1864, volgeva verso la sicura sconfitta degli Stati del Sud e occorreva fare qualcosa per invertire un destino ormai segnato.

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Era un ragazzo di appena vent’anni, era il nostro John Surratt. Ben presto il giovane si dimostrò una persona valida. Oltre alla sua esperienza offrì ai congiurati l’opportunità di potersi incontrare in un luogo sicuro e che non sollevasse alcun sospetto: una piccola pensione gestita da sua madre Mary, proprio a Washington. Una curiosità, resa nota durante il processo contro i cospiratori: il controspionaggio unionista era perfettamente a conoscenza di Booth e dei suoi progetti contro il Presidente. Ciò nonostante il futuro assassino di Lincoln fu lasciato libero di proseguire nel suo intento terroristico. Perché? È uno dei tanti misteri dell’attentato. Tutto fu messo a tacere e il capitano Gleason che per primo aveva denunciato queste gravi mancanze, morì improvvisamente in circostanze misteriose e la denuncia venne archiviata. Dunque, John Booth aveva la massima libertà di agire e l’occasione gli si presentò la sera del 14 aprile del 1865 al teatro Ford, dove Lincoln assisteva con la moglie a una prima teatrale, assolutamente indifeso e senza alcuna protezione, se si esclude una guardia del corpo notoriamente alcolizzata e nonostante che i segnali di pericolo contro di lui si erano fatti sempre più gravi e circostanziati. Anche questo aspetto della situazione non fu mai veramente approfondito. Il piano criminoso prevedeva, oltre all’omicidio di Lincoln, anche quello del vice presidente Johnson e del segretario di Stato Seward, tutti e due falliti miseramente. Ed ecco un altro mistero. Alcune ore prima dell'attentato, nello Stato di New York, il giornale locale Whig Press pubblicò la notizia dell'assassinio del presidente. Nello stesso momento tale notizia era di dominio pubblico a Manchester, nel New Hampshire e a Saint Joseph, nel Minnesota. Non si è mai spiegato come mai la notizia sia uscita con grande anticipo, perdi più anche a oltre 2000 chilometri da Washington e nonostante il telegrafo fosse stato interrotto per alcune ore.

La fine di Booth
Intanto Booth, dopo aver portato a termine il suo crimine riuscì a fuggire dal teatro, ma nella corsa inciampò su delle corde e si ruppe una gamba: anche in questo caso nessuno, inspiegabilmente, tentò di fermarlo e l’uomo poté, così, dirigersi, insieme a un altro congiurato, David Harold, verso la Virginia e proseguire poi verso gli Stati del Sud per essere acclamato come un eroe. Ma la storia avrebbe preso di lì a poco tutt’altro cammino. Raggiunto un gruppo di soldati confederati sbandati, Booth, insieme a Herold, si fece riconoscere, ma, con sua grande meraviglia, quei soldati, invece di ringraziarlo, lo denunciarono alle forze di polizia del Nord. Con l’uccisione di Lincoln, infatti, era stato scavato un solco di odio difficile da superare. Ora per il Sud la sconfitta si trasformava, da parte del Nord, in una amara vendetta.

Il 26 aprile i due fuggiaschi furono localizzati, nascosti in un fienile presso Port Royal, da un drappello di cavalleggeri. Intimata la resa, Herold si precipitò a braccia alzate fuori dal fienile verso i militari, mentre Booth volle vendere cara la pelle. Senza pensarci troppo i soldati diedero fuoco al fienile per farlo uscire e arrestarlo, quando, nella confusione dell’incendio, si sentirono improvvisamente degli spari. Booth fu colpito a morte con alcuni colpi alla nuca. A uccidere “ufficialmente” il ricercato fu il sergente Boston Corbett, armato di carabina.

Intanto la caccia proseguiva anche per gli altri congiurati e, undici giorni dopo l’attentato, tutti i congiurati salvo uno erano assicurati alla giustizia. Tra essi c’era anche la madre di John Surratt, Mary, colpevole di aver dato loro ospitalità. Condannata a morte, fu anche la prima donna americana a salire sul patibolo. Il figlio John ebbe la fortuna di essere avvisato in tempo degli arresti e riuscì a scappare in Canada, dove aveva molti amici. Qui trovò una rete molto efficiente organizzata da alcuni sacerdoti per far scampare ex soldati sudisti alle vendette nordiste.

Tra i cattolici canadesi che aiutarono i fuggiaschi sudisti c’era padre Charles Boucher, rettore del santuario di Saint Liboire. Il sacerdote ospitò Surratt per alcuni giorni, ma la situazione anche in Canada non era tranquilla per il fuggitivo. Si decise, allora, di farlo partire con un piroscafo alla volta dell’Inghilterra. Per organizzare la fuga fu aiutato da due ex agenti segreti che con lui avevano combattuto per gli Stati del Sud: Beverly Tucker e Edwin Lee, quest’ultimo figlio del famoso generale e capo dei Confederati. Finalmente ai primi di settembre Surratt arrivò a Liverpool, trovando una sistemazione provvisoria presso una canonica, ma anche questa terra cominciava a scottare: gli agenti americani erano già sulle sue tracce. Con l’aiuto di altri amici organizzò una fuga dall’Inghilterra verso l’Italia, con destinazione Roma, assistito sempre da padri gesuiti statunitensi. John Surratt arrivò nella città del Papa agli inizi del nuovo anno, trovando alloggio presso una piccola pensione, sotto il nome di John Watson, nel popolare rione di Borgo, a poca distanza dai Palazzi Apostolici. Ma la vita non era certo facile per il fuggitivo. L’assistenza che aveva ricevuto non poteva durare molto, né si potevano coinvolgere del suo caso le autorità vaticane: sarebbe scoppiato un caso diplomatico tra Santa Sede e governo Usa in un momento in cui, come sappiamo, le relazioni tra i due Stati non erano certo delle migliori. Doveva trovarsi un posto dove nascondersi in maniera sicura e anche guadagnare qualche soldo.

(continua)

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Testo pubblicato sul Wall street journal Magazine