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Letture, dalle montagne venete alle colline umbre alla ricerca della pace

Il Moro della Cima e le immagini d'arte di San Benedetto e San Francesco

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Le trincee scavate nella terra sono come ferite che non si rimarginano mai. Forse tutt’intorno riescono a rinverdire i prati e gli alberi, però quelle ferite non si possono nascondere. La guerra sconvolge tutto, e per molto tempo. Il Moro lo sa, lo ha imparato a sue spese, lo ha visto con dolore  nella sua montagna ferita, deturpata, stravolta. Quella stessa montagna, il Brenta, anzi, “la” Brenta, che lo ha affascinato sin dalla prima adolescenza. In quella montagna c’è tutto, il suo destino, il suo desiderio di felicità, il posto dove avrebbe sempre voluto essere, la risposta alla sete d’infinito, di assoluto.  

Il Moro ha capito molto presto che per lui la montagna avrebbe significato il senso della vita e così sarebbe stato. E per sua fortuna non avrebbe visto lo scempio che i decenni a venire avrebbero riservato al paesaggio che è la forza di una civiltà e di un popolo.

La storia del Moro, personaggio realmente esistito – Agostino Faccin - ma fervidamente trasformato dal racconto di uno scrittore, oggi appare più che mai esemplare e paradigmatica: l’orrore e la follia di una guerra, precisamente quella del 1915-18 , che distrugge vite umane e semina devastazioni che prolungheranno le loro ombre funeste a lungo, e che tragicamente in queste settimane si replica in Ucraina; la felicità legata ad un luogo amato, vissuto e custodito: il rifiuto dell’eccesso, di un dilaniamento della natura in nome di mode effimere o di un concetto di progresso slegato all’idea di giustizia sociale e di rispetto per l’uomo stesso; il bisogno di una visione più ampia della vita e di un senso che “punti” verso l’alto. Il paradigma di tutte le guerre; la parabola pericolosa di molte ideologie vuote e della omologazione del pensiero. 

Il romanzo  “Il Moro della Cima” , scritto da Paolo Malaguti e appena uscito in libreria, tratteggia un personaggio indimenticabile e   racconta un periodo cruciale della storia da un punto di vista inusuale, quella appunto di un uomo che diventa la guida per i sentieri che solcano la montagna trasformata in una delle prime linee del conflitto.  Non  un grande eroe, un protagonista della grande Storia, ma un uomo umile, di quelli che gli eventi registrati dagli storici ignorano, ma che costruiscono, con coraggio e con resistenza, la vita quotidiana.
Da quando era poco più di un bambino, il Moro ha una certezza: l'unico luogo in cui si sente al sicuro e a casa propria  è tra i boschi di larici, i prati d'alta quota, e qualche alpinista che comincia ad avventurarsi lassù.. Così, quando gli danno in gestione un rifugio proprio sul Grappa, sembra che la sua vita assuma davvero  la forma giusta. “Soprattutto all'alba, quando la luce è più morbida e la pianura si svela più ampia, e con lo sguardo arrivi fino alla curva del mare lontano: allora ti viene liscio credere che la vita possa davvero essere tutta così, giornate di sole e pascoli verdi”. Una vita, dunque, legata alla natura e che dalla natura trae la sua forza e la forza dei suoi valori.

Il Moro presto diventa famoso, la sua figura familiare,  si diffonde la fama di quell'uomo dai baffi scuri e la pelle bruciata dal sole, con i suoi racconti fantasiosi e le sue varie eccentricità. E in tanti salgono fin lassù per averlo come guida, visto che conosce come nessun altro quel microcosmo di pietre e di boschi. Poi nel 1918, quando la guerra è già divampata, il Grappa è la linea del fronte, un campo di battaglia che non tarderà a trasformarsi in un cimitero a cielo aperto e infine in un sacrario d'alta quota. Il Moro deve lasciare la sua cima, dove tornerà a guerra finita e davanti allo sfregio degli uomini cercherà il suo personalissimo modo di onorare la sacralità della montagna. Malaguti racconta una  storia, come ormai fa da molto tempo,  che riporta in vita   un mondo perduto che vorremmo ritrovare prima di tutto  per ritrovare qualcosa di noi stessi.

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Dalle cime delle montagne venete alle dolci colline dell’Umbria, in un ideale cammino alla ricerca di una dimensione diversa, la possibilità di un’immersione dentro una spiritualità intensa, nello stesso tempo di purificazione, di silenzio, a cui è propizio questo tempo quaresimale . E in Umbra il cammino non può camminare senza imbattersi in due giganti della santità. San Benedetto e San Francesco. Un libro, anche questo fresco di stampa, delinea questo paesaggio del cuore, della fede, dell’arte, dove in tanti, in tantissimi, nel corso dei secoli, si sono sentiti “a casa”. Il volume si intitola “L’Umbria di San Benedetto e San Francesco. Immagini di un cammino artistico e devoto” di Fabio Marcelli, realizzato con il sostegno di Regione Umbria tramite fondi POR SFER e attuato da Sviluppumbria su incarico dell’assessorato regionale al Turismo. Libro che sarà presentato mercoledì 23 marzo a Roma, presso il Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro, alle ore 16.00, con la partecipazione del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

Attraverso le pagine del libro, con una selezione di opere d’arte benedettine e francescane dislocate in Umbria, il lettore si incammina lungo i tanti cammini che portano al cuore dell’Umbria e la collegano con altre regioni, con altri cammini non solo italiani ma anche europei: una fitta “ragnatela”che nasce nel Medioevo, e che oggi riscopriamo con entusiasmo, perché sono metafora e insieme esperienza concreta di quel che significa viaggio, pellegrinaggio, scoperta della bellezza della natura e dell’arte, tra chiese, pievi, conventi, paesi e borghi, scrigni preziosi di opere immortali che sono ormai entrati nel nostro DNA, anche se troppo spesso lo ignoriamo o lo dimentichiamo.   

Paolo Malaguti, Il Moro della cima, Einaudi Editore, pp.320, euro19,50

Fabio Marcelli, L’Umbria di San Benedetto e San Francesco. Immagini di un cammino artistico e devoto, Silvana Editore, euro 34, pp.240