Celebriamo, oggi, la solennità dell’Epifania. La parola Epifania significa manifestazione. ll Bambino nato a Betlemme, che noi, insieme ai pastori, abbiamo contemplato e adorato il giorno di Natale, non è solo il Messia promesso al popolo d’Israele, ma è dono di Dio all’umanità. La Sua venuta è per tutti, perché Egli è “luce per illuminare le genti. I Magi, che giungono da lontano per offrire oro, incenso e mirra costituiscono la primizia e l’inizio dell’adorazione universale di Gesù Cristo, unico e insostituibile Salvatore del mondo.

I personaggi coinvolti nell’episodio evangelico rappresentano le diverse  modalità con cui l’uomo si relaziona con il Figlio di Dio, nato nella carne. I Magi rappresentano coloro che cercano il Signore con cuore sincero e, una volta trovatolo, lo riconoscono come l’atteso dei popoli; nei capi del popolo ebraico è possibile identificare le persone che, non nutrendo nei confronti di Cristo alcun interesse, rimangono nell’indifferenza; Erode è il prototipo di chi vede in Gesù una minaccia per la propria vita, il proprio potere e la propria visione dell’uomo e della società e quindi cerca di eliminarlo. Ebbene, con queste reazioni dovrà confrontarsi anche l’annuncio post-pasquale di Cristo morto e risorto da parte della Chiesa. Cristo da alcuni viene accolto con gioia, da altri è rifiutato violentemente, da altri  ancora è guardato con indifferenza.

I Magi giungono a Betlemme perché vedono un segno, una stella luminosa che interpretano come una chiamata silenziosa e irresistibile a dirigersi verso il Signore. Gesù accogliendo i Re Magi invia un messaggio a tutti gli uomini: “venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi, ed io vi consolerò” (Mt 11.28). Tutti siamo invitati, tutti siamo attesi, tutti siamo accolti dal Signore Gesù.

L’umanità si trova a vivere in una condizione di sofferenza e di incertezza che non risparmia nessuna Nazione. E seppure avvolto in un clima di tristezza e di oscurità, l’uomo, nel suo cuore, avverte la necessità di una soluzione positiva al dramma che sta vivendo, di trovare un rimedio alla sua crescente angoscia interiore, di sentire una parola di autentica Verità. Che cosa fare? Che cosa pensare se l’uomo non basta all’uomo? L’esperienza della fragilità costituisce  un invito ad aprirsi alla fede, che l’apostolo Pietro qualifica come una stella del mattino che si leva nei nostri cuori (2Pt 1,19). Una “stella”.  che apre prospettive inaspettate, arricchisce la vita, fa emergere una visione nuova dell’esistenza umana che Manzoni descrive con queste parole: “La vita non è un peso per molti e una festa per alcuni….si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene; e così si finirebbe per star meglio…I guai vengono per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore…Dio perdona tante cose per una opera di misericordia…”. E allora perché aspettare? Cristo ci attende. In Lui ritroviamo il senso della vita e troviamo Dio, il nostro principio e la nostra fine.