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Meeting 2020, lo stupore dell'arte raccontato da Giuseppe Frangi

L'arte potrà ricostruire i rapporti reali ?

Un momento dell' incontro al Meeting di Rimini  |  | Meeting 2020 Un momento dell' incontro al Meeting di Rimini | | Meeting 2020

Giuseppe Frangi, presidente dell’Associazione ‘Giovanni Testori’, nella giornata inaugurale del Meeting dell’Amicizia fra i popoli, in svolgimento a Rimini, ha presentato un incontro molto interessante dal titolo ‘Là dove lo sguardo palpita’: “Il titolo nasce dal desiderio di capire come nella creazione di ogni opera d’arte è l’artista il primo che si sorprende di quello che sta creando. L’opera non è solo esito delle capacità dell’artista, egli si scopre come tramite, c’è un’intensità umana che si comunica. L’artista, nella sua dimensione più compiuta, è un tramite che dà corpo e immagine a un’esperienza di bellezza.  Davanti alla quale ‘il suo sguardo palpita’” spiega l’artista.

Frangi ha scelto il percorso intimo e intenso di Gerard Richter, pittore tedesco nato a Dresda nel 1932 presentandolo al pubblico attraverso la traccia del film del 2018 ‘Opera senza autore’, di Florian Henckel von Donnersmarck.

‘Privi di meraviglia, restiamo sordi al sublime’: in questo periodo in quale modo ci si può aprire al sublime? 

“E’ una domanda ardua, davanti alla quale posso pormi solo nella massima semplicità. Allora dico che ci si apre al sublime quando si ama la realtà senza pretese e condizioni. Perché il sublime non è altrove, ma si svela ai nostri occhi, quasi sempre inaspettato, nelle pieghe del reale. Il sublime è l’umano fedele al proprio cuore. E’ la gratuità di gesti normali che costituiscono il tessuto buono su cui si regge la convivenza tra gli uomini. Se nel dizionario dei sinonimi si va a cercare la voce ‘sublime’ troviamo termini come ‘alto, grandioso, divino, eccelso, alato’. Mi viene da dire che ‘sublime’ non ha nulla a che vedere con quei termini, così connotati di un inutile idealismo. Il ‘sublime’ è piccolo, umile, silenzioso, antiretorico. E’ il gesto della mamma di Cecilia, quando pone il suo corpicino sul carro dei monatti. E sublime è la scrittura di Manzoni nel momento in cui ne dà testimonianza: c’era ‘in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un’anima tutta consapevole e presente a sentirlo’.

In quale modo gli artisti rappresentano oggi il sublime?

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“Oggi gli artisti sono chiamati a misurarsi con uno smarrimento che è uno dei dati che segnano il nostro tempo. Il ‘sublime’ non può quindi prescindere dalle ferite e dalle inquietudini di oggi. Per questo il ‘sublime’ per gli artisti nostri contemporanei consiste nel fare coscienza di questo dato e nell’aprirsi ad un’attesa”.

Quali opere e quali artisti documentano questa avventura nel sublime?

“Maestri contemporanei tra cui Christo hanno offerto straordinari esiti di meraviglia, come l’installazione sul lago d’Iseo. Per il Meeting ho preferito un approccio diverso, partendo da un suggerimento di Romano Guardini: ‘Io non rendo giustizia all’opera d’arte se la ‘gusto’, ma se rivivo l’incontro dell’artista creatore con l’oggetto’. Per questo ho cercato di indagare su questo momento decisivo in rapporto a quello che è probabilmente il più importante artista vivente, Gerhard Richter. Nato a Dresda nel 1932 ha attraversato tutte le tragiche ideologie del ‘900.

La sua esperienza, piena di ferite e di contraddizioni, è anche l’esperienza di un ostinato desiderio: che la pittura possa essere rivelazione di un qualcosa che come lui dice ‘trascende la nostra comprensione’. Ho ripercorso una serie di opere in cui in modo sorprendente seppur implicito affronta il tema dell’Annunciazione. Nel 2003 a Richter era stata commissionata una vetrata del Duomo di Colonia, distrutta dai bombardamenti della Seconda Guerra mondiale. Una committenza importante proprio a lui che non aveva mai fatto professione di fede. Chi entra nella cattedrale fa un’esperienza del sublime attraverso la luce. La vetrata consente di percepire la luce come metafora di Dio: l’artista e l’opera sono un tramite. La ricerca di Gerhard Richter è davvero emblematica”.

Il sublime genera lo stupore: artisticamente cosa è lo stupore?

“Come dice Guardini lo stupore non è innanzitutto quello che noi proviamo davanti ad un grande esito dell’arte, ma è prima ancora quello che un artista prova nel vedere come la propria opera vada oltre quello che era nei suoi intenti e nei suoi progetti. Nell’esperienza dei grandi artisti si arriva ad un punto in cui l’opera ‘scappa di mano’: come aveva ammesso Matisse, quando ripeteva, che lavorando alla Cappella di Vence si era sentito proprio preso per mano. Il primo stupore è perciò quello dell’artista stesso davanti alla propria opera, per la verità inattesa che l’opera esprime: il che può produrre anche spavento, come accadde a Picasso, quando dipinse il suo grande capolavoro ‘Les Demoiselles d’Avignon’. Per anni tenne il quadro girato nel suo studio e lo espose solo vent’anni dopo”.

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In quale modo Giovanni Testori raccontava il sublime?

“Tornando al ‘gioco’ dei sinonimi, potrei dire che per Testori il ‘sublime’ aveva a che fare con due termini che possono sembrare opposti: ‘scandalo’ e ‘tenerezza’. Lo scandalo era quello ad esempio testimoniato da tanti artisti che lui amava: lo ‘scandalo’ sublime di Caravaggio e delle sue ombre con le quali non ha solo cambiato la storia dell’arte, ma ha dato testimonianza senza sconti del dramma a volte così oscuro dell’umano. La tenerezza è invece quella che segna altri suoi amori artistici, come quello per Gaudenzio Ferrari, l’artefice straordinario del Sacro Monte di Varallo. La sua pittura si regge su una profondità ‘sublime’ di sentimento, su un amore non per la realtà in senso generico, per la “sua” realtà, che era quella realtà di popolo di una valle alpina”.    

Quale compito avrà l’arte nella ricostruzione dei rapporti ‘reali’?

“Si può benissimo vivere senza l’arte, eppure l’uomo non può fare a meno dell’arte. L’unico vero compito quindi è quello di essere fedele a se stessa: cioè testimonianza di un ‘gratuito’ che è fattore decisivo nella costruzione di ogni buon legame sociale. Non sono i contenuti dell’arte a renderla importante e necessaria, ma il dinamismo del suo essere ‘non necessaria’. E quindi capace di sorprendere”.